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Carlo Aymonino, o l'Architettura dei fenomeni urbani

Dal 07.07.2010 al 07.07.2011

Si è spento nella notte del 4 luglio Carlo Aymonino, autore di importanti brani di Architettura anche della nostra città. Lo ricordiamo attraverso la voce di Vittorio Gregotti

Si è spento nella notte del 4 luglio Carlo Aymonino, autore di importanti brani di Architettura anche della nostra città. Lo ricordiamo attraverso la voce di Vittorio Gregotti pubblicando una sua testimonianza apparsa sulle pagine del Corriere della Sera di Lunedì 5 luglio.

CARLO AYMONINO, LA CITTÀ E IL NUOVO

"Quando muore un grande amico di tutta la vita, la prima cosa a cui si pensa non è alla sua importante opera di architetto, ma all’affetto per la sua presenza che viene a mancare, ai momenti di gioia e di discussioni appassionate, che si è passati insieme negli ultimi sessant’anni. Anche se, come avviene fatalmente, le nostre frequentazioni si sono negli ultimi anni diradate, bastava un incontro a Venezia o Roma, una telefonata, per ritrovare intatto il piacere della sua brillante conversazione, l’intelligenza dei suoi giudizi sullo stato delle cose, insieme alla sua ironia sui fatti della vita: compresa la vita e le opere degli architetti.

Certo Carlo Aymonino -scomparso la notte del 3 luglio a Roma, dove era nato il 17 luglio 1926- è stato uno dei grandi protagonisti della mia generazione di architetti: ci siamo incontrati per la prima volta a un convegno, promosso dall’associazione studentesca della sinistra politica a Roma, a discutere sul neorealismo romano in architettura, anche per riaprire il difficile colloquio tra le culture progettuali di Roma e di Milano, per far diventare i suoi maestri Ludovico Quaroni e Mario Ridolfi, anche i nostri maestri. Si trattava cioè di cercare un dialogo tra la tradizione del razionalismo milanese e la ricerca, proprio della generazione di Aymonino, di un realismo critico capace di affrontare, sul concreto del contesto italiano, le migliori tradizioni del progetto moderno.

Poi, a partire dagli anni Sessanta, il nostro luogo di incontro è stato, oltre a «Casabella», soprattutto Venezia dove Carlo Aymonino insegnava e dove divenne mio rettore, dopo Carlo Samonà, all’università tra il 1974 e il 1979. Nel 1976 egli fu inoltre uno dei protagonisti della prima biennale di architettura di Venezia.

Poi Carlo tornò a Roma e divenne tra il 1981 il 1985 assessore agli interventi nel centro storico. Ma Aymonino è, per noi, soprattutto un architetto di grande talento, capace di una critica positiva alla tradizione del moderno, con una speciale attenzione al tema della città e del suo disegno e alla relazione tra tipologia edilizia e morfologia urbana. Un architetto capace in ogni sua opera di dimostrare l’indispensabile connessione tra singolo edificio e disegno della parate della città in cui esso è collocato. Dal quartiere Spine Bianche a Matera sino al complesso del Gallaratese a Milano, dal palazzo di Giustizia a Ferrara al centro direzionale di Pesaro, per citarne alcuni, questa attenzione è dimostrata nei fatti. Egli aveva poi uno straordinario talento per il disegno, che tutti ammiravamo, un talento oggi in progressivo annientamento tra gli architetti. A questa sua attenzione per il disegno urbano egli aveva inoltre dedicato alcuni libri che sono stati importanti per tutti noi. A partire da quello sull’origine e sviluppo della città urbana (del 1965) alle riflessioni sul progetto per il nuovo centro storico di Roma sino a Piazze d’Italia (entrambi del 1988) e a quello sul significato di città.

In un saggio dal titolo Soluzioni non più modelli, Aymonino scriveva, a proposito del contribuito culturale di rilievo internazionale della nostra generazione, di una «riappropriazione» (della città) non più sotto il segno del nuovo ma sotto quello del completamento della costruzione dei luoghi incompiuti per mancanza di idee e di decisioni. Questa affermazione che concepisce la creatività come modificazione significativa, cioè come conoscenza di essere nella storia senza dipendervi, facendo di questo il fondamento del nuovo necessario, penso possa essere assunta come messaggio per noi, proprio attraverso al concreto delle sue opere di architettura."

VITTORIO GREGOTTI

 

dal Corriere della Sera del 5 luglio 2010


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