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Cara Madunina

Dal 01.01.2008 al 31.12.2008

Pubblichiamo, a seguito della puntata di Report su RAI3 andata in onda domenica 18 novembre 07 dal titolo Cara Madunina, di cui trovate testo e video integrali a questa pagina web, la sintesi dell’interessante serata all’Ordine degli Architetti di Milano che il 5 luglio ha visto gli architetti Silvano Tintori, Giorgio Goggi, Giovanni Oggioni e Aldo Ciocia, moderati da Federico Acuto, dibattere il tema: Sottosuolo: risorsa della città?

SILVANO TINTORI
I parcheggi nel sottosuolo costituiscono parte tanto più saliente della mobilità e dell’accessibilità quanto più il traffico cimenti il soprassuolo.
Il sottosuolo diventa risorsa strategica della metropoli postindustriale e tardomoderna: una modernità “riflessiva” deve agire in maniera sostenibile, ma e soprattutto attraverso una visione dell’urbanità che non la riduca agli insediamenti rappresentativi degli estremi dell’ambizione e del degrado.
Il fallimento dell’inclusione di un numero crescente di abitanti e fruitori, il diffondersi del lavoro precario, il declino del patrimonio edilizio e l’esodo dei ceti medi dall’area metropolitana di matrice industriale provocano l’incremento dei costi sociali, non ultimi quelli che affliggono trasporti e trasportati, favorendo la decadenza dello spazio pubblico tramite l’economia informale e le inquietanti forme assunte dall’accattonaggio e dalla malavita che lo invadono.
A Milano occorre riflettere sui progetti di vie sotterranee tracciate per raggiungere i “progetti urbani” (gli insediamenti ambiziosi?) in programma oppure per diventare “secanti” destinate a inondare di traffico tutta la città. Bisogna inoltre discutere della riforma urbanistica della Regione Lombardia che rimuove la dimensione metropolitana, dove il nodo dei trasporti è cruciale, e incita a uno sfruttamento intensivo del suolo, teso a generare traffico e a togliere spazio alle sue infrastrutture. Si pone, infine, il problema del controllo della rendita accesa nel sottosuolo attraverso l’ipoteca secolare (la concessione per novant’anni!) su una risorsa preziosa dove cala la qualità del soprassuolo, per creare attrezzature (il parcheggio, appunto) scarsamente reversibili e un servizio che potrebbe essere meno longevo.
In seconda istanza, l’interazione soprassuolo/sottosuolo investe il progetto architettonico in quanto momento di trasformazione dello spazio pubblico, un risvolto che appare colto, per esempio, dai comitati di quartiere nei suoi conflitti più degradanti.
In un saggio, scritto una trentina di anni fa, Offe illumina le radici di una contestazione che scaturisce dal declino delle classi della società industriale e dalla crescente complessità e, aggiungeremmo, “dematerializzazione” e “atopia” delle attività umane; sensibile alle contraddizioni di una modernità “irriflessiva”, quando viene ferita dalla “rispazializzazione” dei suoi nuovi prodotti (infrastrutture avanzate, plessi intermodali, fiere, mercati, centri commerrciali) agli antipodi dell’urbanizzazione leggera intrinseca a un felice quanto evanescente spazio di pura comunicazione e depauperata, per dirla con lo stesso Offe, dal carattere sovente “monotematico” del proprio impegno che le preclude una valutazione articolata e interattiva del progetto.
Non si tratta di costruire un piano della sosta in una politica della mobilità e dell’accessibilità “date”, quanto di ridisegnarla con la consapevolezza della crisi dello spazio pubblico che attanaglia la metropoli tardomoderna: il sottosuolo non può essere speso in maniera passiva e antiecologica nemmeno quando il traffico privato fosse incomprimibile al di là di una certa soglia; né i luoghi eloquenti della città possono essere abbandonati al suo dilagare sopra e sotto terra.

GIORGIO GOGGI
Il piano della mobilità e il piano urbano dei parcheggi, cui ho personalmente partecipato, hanno avuto l’obiettivo di mantenere Milano ad un livello europeo, contenendo l’invasione del traffico.
Abbiamo studiato un’accessibilità meno succube del traffico privato, ricordando però che il trasporto pubblico costa moltissimo. Anche quando vedremo auto che inquineranno meno (idrogeno), avremo sempre e comunque il problema della congestione e della massa di auto.
Per far questo i parcheggi sono solo un elemento del piano. Non si riesce a diminuire il trasporto privato a meno del 30/40%. Esso è composto spesso dalle categorie meno abbienti, che abitano lontano da stazioni di trasporto pubblico.
Per Milano questo 30/40% di trasporto privato gravita su strade inadeguate, producendo ingorghi, incidenti e inquinamento. Dire “non usate l’auto” non serve a molto. Non tutti abitano ad una distanza ragionevole da mezzi di trasporto, per questo è necessario uno stazionamento di interscambio.
A Milano non ci sono neppure ancora i parcheggi di interscambio per la Stazione Centrale e Nord. La realizzazione di parcheggi per lo stazionamento privato nel sottosuolo consente di mettere liberare spazi da destinare a sistemi di regolazione stringenti, come quelli con le strisce gialle e blu. Milano è molto reattiva agli interventi che si fanno. Quando si è estesa la regolamentazione a strisce gialle e blu dalla striscia dei Navigli ai Bastioni, alla 90/91 si è avuta una diminuzione del 10% delle auto in entrata, per la prima volta nella storia di Milano e un aumento di un milione di presenze all’anno dei parcheggi di interscambio.
Non ultimo per importanza il programma di realizzare nuove isole pedonali, come sulle aree di suolo sopra i parcheggi sotterranei o in aree centrali di particolare pregio artistico. Ovviamente occorre avere una buona accessibilità altrimenti queste aree vanno rapidamente in degrado. In sintesi: occorre togliere le auto dalla strada, mettendole sottoterra, senza aumentare il numero dei posti disponibili, per non aumentare il numero di auto in circolazione, riqualificando le aree soprastanti con zone pedonali, aumentando la sicurezza. Tutti questi aspetti sono interconnessi. Io sono piuttosto indifferente sulle sorti del singolo parcheggio. Se si fa il parcheggio di S. Ambrogio e non ci sono problemi archeologici per me è una buona cosa, perché si pedonalizza la piazza, se ci sono problemi monumentali e non si fa pazienza, ma il problema che il sistema complessivo deve garantire una riduzione complessiva del traffico e delle auto che stazionano sul soprasuolo.
L’altro incompiuto di questo programma à stato il provvedimento di pagamento della sosta in superficie da parte dei residenti, cosa usuale in molti paesi europei, che purtroppo scandalizza i milanesi, ma che invece avrebbe consentito molti vantaggi.
Questo intervento avrebbe avuto due vantaggi: l’eliminazione dal suolo milanese delle 8.000 auto non rottamate, perché intanto si possono lasciare gratis in strada e il disincentivo alla sosta di strisce gialle e blu. Spesso, una volta consegnati ai residenti i contrassegni per la propria auto, essi tolgono l’auto dal garage e la parcheggiano in strada.

GIOVANNI OGGIONI
L’utilizzo del suolo e del sottosuolo si appoggia a uno strumento regolatore, che è sostanzialmente inefficace per molti aspetti. In particolare chi disegna il piano non è libero di studiare il suolo e la città cosi come l’architetto vorrebbe.
Inoltre abbiamo ancora uno ius aedificandi dal cielo fino agli inferi, legato alla particella catastale di cui siamo proprietari. La regione Lombardia ha prodotto una discreta legge, che sposta l’attenzione dalla regolazione dell’uso del suolo al governo del territorio. Strumento nuovo, poco usato, perchè getta le amministrazioni nel panico.
Nel caso di Milano abbiamo individuato 7 obiettivi su cui stiamo ancora lavorando, a carattere molto strategico e largamente condiviso: l’ampliamento del mercato urbano, il miglioramento del rapporto tra nodi infrastrutturali e progetti urbani, la definizione di un nuovo piano del verde, la riduzione di consumo di suolo, il potenziamento del sistema dei servizi, l’introduzione dei meccanismi per distribuire meglio i diritti e il miglioramento della qualità dell’ambiente.
Questi obiettivi vanno a interferire nei vari strumenti in diverso modo, perchè per attuarli occorre la cooperazione di diversi strumenti, attori, settori.
Se si disegna un piano urbano della mobilità che prevede una politica di spostamento della sosta dal suolo al sottosuolo occorre essere coerenti con le politiche di pedonalizzazione, ciclabilità, viabilità e trasporto pubblico.
La legge chiede che il tutto si colleghi a uno strumento di origine comunitaria che è la valutazione ambientale strategica. Questa procedura, che ci deriva da una normativa europea, consente una saldatura tra le diverse politiche e la certificazione della congruità di queste politiche.
A Milano il piano regolatore ha generato dei casi abbastanza singolari: abbiamo un’università, la Bicocca, che non è raggiunta dalla metropolitana, la quale a Bisceglie sbarca su un grande prato deserto. Se non consentiamo ai volumi di spostarsi con profitto sul territorio, questo meccanismo sarà difficile da saldare; un piano ha almeno 25-30 anni di sguardo davanti.
Quando abbiamo pensato alla città pubblica e al sistema dei servizi, ci siamo chiesti come fare a misurare la domanda e l’offerta. Abbiamo individuato le scuole primarie come primo elemento di servizio di raggiungibilità pedonale e attorno a questo elemento abbiamo individuato delle aree locali di servizio (circa 140 a Milano). Questo ci ha consentito di separare la città di chi vive dalla città di chi attraversa o usa, per stabilire se e quando il parcheggio serve, ma soprattutto che qualità di parcheggio, evidenziando la grossa differenza tra un parcheggio a rotazione o anche interrato e il box, che diventa la casetta per la macchina bella, il vino, gli sci. La macchina scasssata staziona sullo spazio pubblico, che è gratis.
Su questi layers abbiamo caricato tutti i servizi e immaginato le esigenze di residenti e non dividendo queste aree a seconda delle loro funzioni. Se appoggiamo le aree destinate a servizi e alla mobilità sulla stessa carta e ne diamo una lettura comparata, si intravede subito quali sono il livelli di criticità del territorio e quali i livelli di necessità di intervento da risolvere. La città è fatta di vuoti e di pieni e su di essi stiamo lavorando: dobbiamo attivare dei meccanismi che consentano di trasferire i diritti edificatori liberamente, non legandoli a semplici progetti di trasformazione urbana, ma a un sistema delle trasformazioni ampio. Solo con una lettura di questo genere possiamo calcolare in maniera dinamica l’utilizzo del nucleo di questo grande sistema urbano che è la regione lombarda milanese e andare a individuare politiche che nel tempo risolvano problemi di congestione determinati dal traffico. L’utilizzo del sottosuolo deve essere letto all’interno di questa politica, mediante un’analisi morfologica, architettonica della città.

ALDO CIOCIA
Avanzo l’ipotesi che per attuare un efficace governo della sosta occorra risolvere alcuni dilemmi, che come tutti i dilemmi sottendono un confronto difficile fra principi etici dell’amministrare. Il primo dilemma che ci troviamo ad affrontare è fra città compatta e città spontanea. La città compatta ottimizza la propria accessibilità mantenendo sotto controllo la densità dei fattori insediativi; la città spontanea tende a sfuggire a questo controllo dando luogo ad una duplice tendenza visibile nelle maggiori città: la dispersione verso nuovi suoli inedificati e la concentrazione edilizia sulle aree più centrali. Vi è tuttavia un importante risvolto: la città compatta deve saper organizzare la propria “offerta di luoghi e di identità” per tutti i cittadini e tutte le attività. Quanto avviene spontaneamente con la dispersione urbana – ad esempio l’accesso a beni essenziali come la casa a prezzi proporzionati ai redditi – non è detto avvenga nella città compatta, che nelle politiche della casa può trovare il proprio punto debole. Oggi Milano oscilla ancora fra questi due estremi: da un lato conserva le potenzialità della città compatta e potrebbe usufruire dei vantaggi associati a questa forma urbana, se investirà oculatamente nella riconversione delle aree industriali dismesse, nei vuoti urbani residui, nella polarizzazione del proprio hinterland e nelle reti di trasporto collettivo. Dall’altra tende a rompere questa forma un po’ ovunque: con una dispersione residenziale su un territorio regionale ormai vastissimo, con la nascita ai propri confini di nuovo terziario non sempre servito direttamente dalla rete di trasporto rapido di massa, con punte eccezionali di densità come quelle previste alle Varesine ed alla Fiera interna. Dal prevalere dell’uno o dell’altro assetto dipenderanno i principali connotati della domanda di sosta e dei progetti che saranno promossi per soddisfarla. Sugli esiti fisici dei progetti si incontra un secondo dilemma: quello fra artefatti e risanamento ambientale. Ben conoscendo l’assoluta scarsità di spazi aperti delle nostre città è certamente difficile difendere la presenza pervasiva della sosta su strada e le politiche di sostituzione degli spazi di sosta in superficie con spazi interrati dovrebbero risultare accettabili, se non fosse che scatenano conflitti circa gli oneri d’uso che introducono. I dissensi purtroppo portano a lasciare inalterata la gestione della superficie, con il paradossale esito di aumentare la disponibilità di sosta trasformando le strutture ultimate in un fattore di attrazione di nuovo traffico. A questo si aggiunge inoltre l’artificiosità delle sistemazioni di soprassuolo le quali, per quanto vadano riconosciuti gli avanzamenti dell’ingegneria naturalistica dall’epoca delle prime realizzazioni in cui il verde di copertura era limitato ad arbusti ornamentali confinati in vasche fuori terra, difficilmente riescono a restituire alla città arredi verdi importanti, alberature d’alto fusto, continuità ai filari preesistenti. Vi è infine un terzo dilemma emergente: fra realizzazione pubblica e privata. In quanto strutture ad elevato rendimento i parcheggi si prestano ad essere integralmente autofinanziati. Non è detto però che ad uno sfruttamento intensivo del sottosuolo corrispondano prezzi più competitivi per gli utilizzatori: per la natura del suolo milanese, contraddistinto dalla risalita della falda acquifera, strutture recenti realizzate con più di tre piani interrati hanno incontrato significativi problemi di impermeabilizzazione e forti incrementi dei costi d’intervento per risolverli. Tali extracosti hanno solitamente giustificato l’aggiramento dei vincoli posti dalle convenzioni comunali circa i prezzi da praticare agli assegnatari, con il risultato di escludere fasce potenziali di utenti a favore di puri investitori. Ma se così è, ancora una volta i benefici di riqualificazione della città che il ricorso al sottosuolo doveva consentire sono lontani dall’essere raggiunti.

 

 

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