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La Signora dell’Architettura

Dal 05.11.2012 al 06.12.2012

L'architetto Gae Aulenti si è spenta nella sua casa di Milano nella notte di mercoledì 31 ottobre. Un saluto attraverso brevi ricordi sparsi di amici e colleghi

L'architetto Gae Aulenti si è spenta nella sua casa di Milano nella notte di mercoledì 31 ottobre. Il 4 dicembre avrebbe compiuto 85 anni. L'ultima uscita pubblica lo scorso 16 ottobre, quando aveva ritirato il premio alla carriera conferitole dalla Triennale.  Ha lavorato fino all'ultimo. Da tempo malata, ha segnato la storia dell'architettura moderna.
L'ultimo saluto è avvenuto domenica 4 novembre mattina nel Ridotto dei Palchi del Teatro alla Scala, alla presenza delle autorità e degli amici di una intensa vita professionale. Nessuna camera ardente o cerimonia funebre.
Di seguito alcuni ricordi di amici colleghi e quanti conoscendola ne avevano apprezzato la passione. Inviateci anche i vostri. 

Gae Aulenti amava  bere whisky a tavola, amava le sigarette e amava l’architettura.
Sono sicura che se avesse dovuto scegliere avrebbe scelto l’architettura.
Daniela Volpi

Gae Aulenti amica di una vita e compagna di tante meravigliose avventure.
Donna indipendente, intelligente, coraggiosa, fedele, amica indimenticabile!
Inge Feltrinelli

Gae avrebbe sorriso ancora una volta per tutti quegli articoli di giornale usciti il giorno dopo la sua morte che la celebravano come “la signora dell’architettura”. Avrebbe sorriso perché la Gae, come tutti la conoscevamo, non ha mai rivendicato il suo essere “donna architetto in un mondo di uomini” ma semmai la normalità di essere donna ed architetto.
Il fatto che l’architettura fosse un mestiere da uomini era un pregiudizio e lei ai pregiudizi non badava.

Abbiamo tutti iniziato a lavorare con Gae più di 25 anni fa. Venivamo da città e università differenti e la Gae era all’apice della sua carriera. Eravamo pochi giovani architetti, e non faceva nessuna differenza che fossimo uomini o donne. Erano altre le cose che contavano.
Lo studio era un piccolo edificio a Brera che moltiplicava il suo spazio su più livelli, una specie di “bottega”, sia nella dimensione, sia nell’aria che si respirava.
I progetti, da quello più piccolo a quello più grande, dagli incarichi ai concorsi (che hanno avuto una parte davvero importante nel lavoro dello studio) ricevevano la stessa attenzione e non solo nella parte ideativa, che era quella più divertente per tutti, ma anche nelle fasi successive degli esecutivi e del cantiere, perché «è bello ideare un edificio ma è ancora più bello vederlo realizzato».

Molti si sono soffermati su questa dimensione di bottega quasi artigianale che è sempre stato lo Studio Aulenti e sulla capacità dei suoi progetti di coniugare l’insieme ed il dettaglio. Lei andava fiera di aver realizzato piccoli oggetti di design e grandi edifici con la stessa cura e di non sentirsi “specialista” in qualcosa ma di affrontare la piccola e la grande scala con la stessa curiosità: la lampada, come la scenografia teatrale, la ristrutturazione del grande Museo così come il nuovo edificio, sempre attenta all’aspetto formale e a quello tecnico.

Aveva un grande intuito, ma anche un approccio analitico ed interdisciplinare ai progetti, pensava che il dovere di un architetto fosse quello di essere prima di tutto un intellettuale. Amava citare Vitruvio quando scrive: “l’architetto sappia di lettere, sia perito nel disegno, erudito nella geometria, conosca molte istorie, diligente ascoltatore di filosofi, non sconosca l’astrologia e le leggi del cielo.” Ha sempre pensato che l’architettura debba avere un ruolo sociale e non solo essere forma fine a sé stessa e che l’architetto per far bene il suo lavoro debba comprendere la società nella sua complessità.

La cosa più importante che ci ha insegnato è stata quella di difendere le proprie idee ed i propri progetti con convinzione perché mai frutto del caso, ma piuttosto di un percorso di consapevolezza intellettuale e civile. Però ci diceva anche che non bisogna affezionarsi troppo ad un’idea ma ogni tanto guardarla con distacco per vederne i difetti. Non finiva mai di elaborare un progetto e fino a quando questo non era realizzato era pronta a rimettere tutto in discussione.
Ci ha insegnato anche un’altra cosa: ad ascoltare punti di vista differenti. Ascoltava con attenzione tutti: i colleghi, i committenti, i curatori, gli ingegneri, gli artigiani con i quali lavoravamo. Il rapporto con tutti era diretto, costante, franco, anche duro a volte ma era sempre un rapporto dal quale si aspettava qualcosa di nuovo, di ricevere uno stimolo intellettuale.

Era curiosa, lo è stata fino alla fine. E questa era una qualità grandissima.
Ciao Gae. Vittoria, Francesca, Marco e Nina ti abbracciano.
Vittoria Massa, Francesca Fenaroli, Marco Buffoni, Nina Artoli – Gae Aulenti Architetti Associati


Vittorio Gregotti ci ha mandato un suo lungo e appassionato articolo pubblicato su Artforum dell'86, sottolinenado come l'interesse del testo stia proprio nel fatto di essere stato scritto trent'anni fa:

Cara Gae, raccontare del tuo lavoro, della sua qualità ed importanza (ma anche delle difficoltà incertezze e sconfitte) mi sembra indivisibile non solo istituzionalmente dal ruolo che la nostra generazione ha giocato nell'architettura italiana di questi ultimi trent'anni, ed anche in modo imprudentemente personale, indivisibili dalle vicende della mia biografia pubblica e privata.   (....)
Vittorio Gregotti


“.... ma io ti chiamavo Gaetana” scrive Vittorio Gregotti nel suo ricordo di Gae Aulenti sul corriere del 2 novembre.
È stato come un flash, che mi ha riportato agli anni in cui ho lavorato per Casabella e il contatto con Gae era quasi quotidiano ed è affiorato anche il ricordo di una sorta di lieve insofferenza da parte di ernesto, che decisamente preferiva “Gae”.
Per molti anni e, negli ultimi, qualche incontro in diverse occasioni: nessuna retorica, niente “amarcord”. “Siamo qui”, mi diceva. Due parole efficaci e piene di senso, che sentivo più vere di tanti discorsi.
Matilde Baffa


Molti anni fa nel 1979  Gae Aulenti mi chiamò per lavorare alla XVI a Triennale e poco dopo mi volle come designer nel nuovo progetto di rilancio di Fontana Arte. Due belle avventure. Inutile dire quanto le debba in termini professionali ma specialmente umani. La vorrei ricordare citando un "ritratto" che le feci qualche anno dopo, sulla rivista FLARE, per accompagnare una intervista/chiacchiera fatta davanti a un bicchiere di whisky e fumando Chesterfield senza filtro. Mi sembra ancora attuale.  (....)
Franco Raggi


Pierluigi Nicolin ci ha mandato un estratto del numero 35 di Lotus del 1982 in cui raccontava la sua esperienza del Museo d'Orsay allora in via di realizzazione:

A proposito del Museo d’Orsay di Gae Aulenti
[…] Spetta così all’aménagement intérieur di Aulenti di diventare un progetto nel progetto, esulando dal compito limitativo che la tradizione francese gli assegnerebbe. Il ricordo del teatro-tenda di Barrault, collocato in una zona della grande navata, e le esperienze teatrali del Laboratorio di Prato potrebbero aver
suggerito ad Aulenti alcuni provvedimenti.[...]
Pierluigi Nicolin


Emilio Battisti ricorda Gae Aulenti con un suo articolato saggio pubblicato nel catalogo della personale al PAC del '79, che così conclude

"Gae Aulenti è stata definita da Alberto Arbasino in un frivolo scritto di dieci anni fa «una combinazione tra il fascino bucolico e la solida mentalità di un ingegnere », io più semplicemente affermo che è il primo architetto che abbia dimostrato in tutta evidenza che Architettura è sostantivo di genere femminile." [...]
Emilio Battisti


Gioseppe Raboni ha lavorato con Gae Aulenti tra Parigi e Barcellona per 10 anni. Così l'ha voluta ricordare in occasione della Commemorazione a Barcellona di sabato 15 dicembre al Museo Nazionale d’arte de Catalogna (MNAC), opera cui lavorarono assieme:

Ho iniziato a lavorare con Gae a Parigi nel 1984 subito dopo esseremi laureato , in realtà avrei dovuto fare i servizio militare ed invece sono finito nella “Legion Etrangere del Museè d’Orsay“ , così il militare invece di uno è durato dieci anni !
Non avevo nessuna esperienza di cantieri ma lei non se ne è preoccupata , mi disse solo che sarebbe stata dura , infatti fu durissima . Lo studio si trovava dentro la stazione , il mio tavolo era proprio di fronte a una finestra grandissima con la vista sulla Senna , nei primi tempi non smettevo di incantarmi a guardare i bateaux mouches che passavano sul fiume . Gae veniva avanti e indietro da Milano e insieme a un piccolo gruppo di giovani si lavorava tanto , l’ambiente a volte era teso , molto teso […]
Giuseppe Raboni

 

L'ho incontrata nel 1968, mi colpì il taglio di capelli, il suo vestire, i suoi (non) colori, la sua voce roca, la risata, l'eterna sigaretta.
Poi ho scoperto le sue lampade, una più bella dell'altra, le sue architetture, la sapienza nel trasformare spazi grandi come musei, piazze, biblioteche o piccoli come cabine di navi,
la sua continua curiosità, la sua attenzione, il suo andare in fondo alle cose, l'amore per la musica, la passione per il teatro, il suo divorare libri, la sua passione, la sua energia...è stata tutto questo e ...dippiù!
Nessun difetto?Certamente sì, anche quelli: non le mancava niente. Manca lei a noi, a tutti quelli che l'hanno conosciuta, vissuta, amata.  Grande Gaetana!
Antonia Jannone

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