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Tutti i modi per dire Casa

Dal 01.01.2008 al 31.12.2008

Compie ottant' anni 'Domus', la rivista di architettura, arredamento, design ideata da Gio Ponti e da Gianni Mazzocchi.

 

A sfogliare la sua collezione si possono leggere ottant' anni di storia 'profonda' del nostro Paese: i suoi desideri e le sue delusioni, la sua energia e i suoi dubbi sul futuro. Un termometro del ruolo, della fortuna e della sfortuna dell' Italia nel corso del Novecento Il punto più alto negli anni Settanta: l' avvento del made in Italy che finirà nelle boutique ma anche nei musei d' arte moderna Tra i due fondatori, 'duellanti geniali', erano sempre scintille Ma litigando costruivano invece di sfasciare


SE OTTANT' ANNI DI STORIA D' ITALIA - storia "profonda", "trasversale", anche della psiche, dei sogni, delle aspirazioni, delle delusioni, dei rimorsi, dei dubbi per il futuro di un paese - si possono leggere di filato nelle pagine di una rivista, questa è Domus. Il primo numero è del gennaio 1928, lo stesso anno in cui esce una pubblicazione altrettanto longeva, Casabella. Si occupano entrambe, molto alla larga, di case, e di tutto quello che entra in casa (o collega la propria casa con le case di tutti gli altri, fino all' automobile e alla televisione, insomma). Cioè di qualcosa che nel corso dell' intero Novecento, in modo crescente fino ad oggi, impegnerà l' inventiva, le ambizioni, le paure degli italiani, sarà uno dei termometri dei loro umori. Quasi alla stessa stregua del "posto di lavoro", della fiducia o meno in un avvenire migliore. Qualcosa, oserei dire, di ancor più importante della fiducia, che anch' essa va e viene, nelle classi dirigenti (politiche, dell' economia, di chiesa o d' opinione che siano). I primi numeri di Domus portano come sottotitolo «Architettura e arredamento dell' abitazione in città e campagna». Casabella invece «Arti e industrie dell' arredamento». Per entrambi il sottotitolo sarebbe cambiato più volte nel corso dei decenni, ma senza mai rinunciare completamente al punto di partenza. La Domus di Gio Ponti si sarebbe occupata di «arte della casa» in tutte le declinazioni possibili, compresi il giardino, l' orto, la cucina e il design degli «oggetti» per la casa, nonché di «stile» e di «gusto». Quella di Ernesto Nathan Rogers della «casa per l' uomo». Le due pubblicazioni, nel corso degli anni, avrebbero più di una volta alternato gli stessi direttori o condirettori, Ponti e Rogers (ma anche parecchi altri, come Marco Zanuso, Ettore Sottsass e Gillo Dorfles). Avrebbero avuto per un lungo periodo (dal 1934 al 1964) anche lo stesso editore: Gianni Mazzocchi, personaggio straordinario, padre di Domus, certo, ma anche di Fili, rivista di ricamo e del Libro di casa, pubblicazione di «economia domestica» per famiglie con ricette, consigli, voci di entrata e capitoli di spesa (che arrivò a tirare ottocentomila copie, molto prima che arrivassero le tv). E ancora: inventore di Quattroruote, destinata ad essere la Bibbia dell' Italia che si motorizzava, e di Quattrosoldi, che si rivolgeva ai consumatori negli anni del Boom. Ma anche il fondatore del clandestino Unità europea sotto occupazione tedesca, di Italia Libera, diretta da Leo Valiani, subito dopo la Liberazione, poi de L' Europeo di Arrigo Benedetti e de Il Mondo di Mario Pannunzio. E scusate se è poco, accanto ad un' altra trentina e più di testate. «Nessuno ha inventato tanti giornali quanto lui», è il modo in cui lo ha ricordato Enzo Biagi. Talvolta forse aveva il difetto di arrivare troppo presto. Lui forse pensava di essere un attimino in ritardo, o giocava con questo pensiero, come quando, a metà anni Sessanta, intitolò un proprio articolo su Quattroruote: «L' aerorazzo da Marte viaggia con una settimana di ritardo». Chissà cosa avrebbe potuto combinare un ingegnaccio così se gli fosse capitato di occuparsi anche di giornali quotidiani e di televisioni. Quanto a Domus, la più longeva della sue creature, era nata da una combinazione unica e improbabile (quanto lo è forse la combinazione che ha portato la nascita di ciascuno di noi, sei miliardi di attuali abitanti del pianeta Terra): un Gianni Mazzocchi allora ventunenne, giunto a Milano dalle Marche in cerca di lavoro; padre Semeria, un barnabita che era stato cappellano militare durante la Grande guerra e, diventato stampatore, coltivava il sogno di una pubblicazione italiana legata alle discipline artistiche; e l' architetto Giovanni Ponti, allora giovane disegnatore di ceramiche per la Richard Ginori, il cui nome sarebbe stato fatto, proprio a padre Semeria, da un famoso giornalista, Ugo Ojetti. Capita (spesso) che le vie del signore, o le vicende storiche degli uomini, della politica siano fascinosamente tortuose. Gio Ponti e Gianni Mazzocchi avrebbero più volte clamorosamente litigato, per poi ancora più clamorosamente riconciliarsi. Mazzocchi era stato licenziato subito, perché la rivista andava male; si rifece comprandola. Ponti se n' era andato sbattendo la porta nel 1940. A fare una rivista di moda, con l' ambizione di fare concorrenza alla supremazia della haute couture franco-britannica, la cui testata era stata suggerita da Mussolini in persona: Bellezza. Mazzocchi, che continuò a far uscire Domus anche nella Milano bombardata durante la guerra, aveva dovuto rimediare facendo un nuovo direttore all' anno. Tra questi Giuseppe Pagano, cui negli anni Trenta aveva già affidato la direzione di Casabella. Fascista convinto (al punto da aver italianizzato il cognome originario Pogatschnig), Pagano si era poi arruolato volontario per la guerra in Jugoslavia, ma ne era rimasto talmente disgustato da passare coi partigiani. Arrestato, era riuscito ad organizzare un' evasione di massa dal carcere di Brescia. Nuovamente catturato, era stato deportato e ucciso a Mauthausen. Nel 1948 Ponti si era lasciato convincere a tornare a dirigere Domus, mentre Ernesto Nathan Rogers, che l' aveva diretta nell' immediato dopoguerra, facendo riscoprire ai suoi lettori l' America, tornava a dirigere Casabella. Tra Ponti e Mazzocchi continuavano ad esserci scintille, ma non potevano fare a meno l' uno dell' altro. Litigando costruivano, non sfasciavano. «Duellanti geniali», li ha definiti la figlia di Gio, Lisa Licitra Ponti, stretta collaboratrice di entrambi nella redazione di Domus dagli anni Cinquanta a fine anni Settanta. Questi sono gli anni magici. Gli anni della creatività a tutto campo e del miracolo economico, del grande design e del primo benessere operaio, della libertà assoluta delle forme, dell' esplosione dei colori, insomma davvero dell' «immaginazione al potere», prima che finisse col diventare uno slogan, bello ma sempre solo slogan. Sono gli anni in cui, arrivati dal Sud con le valigie di cartone, gli ex contadini mettono su casa al nord e, soprattutto, hanno la certezza che i propri figli staranno meglio di loro. Gli anni in cui esplodono le avanguardie, nasce il pop. Gli anni del made in Italy che finirà nei musei di arte moderna (e nei grandi magazzini e boutique chic di tutto il pianeta), gli anni in cui due trentenni, Renzo Piano e Richard Rogers vincono il concorso per il Beauburg di Parigi, gli anni dell' Italia che scopre l' architettura del resto del mondo e del mondo che riscopre il genio italiano. Tutto puntualmente, continuamente documentato, anzi anticipato sulle pagine di Domus. Sfogliare per credere l' impressionante antologia di Domus dal 1928 al 1999 pubblicata un paio d' anni fa da Taschen, dodici volumi, settemila pagine, ventimila immagini, egregiamente commentata dalle introduzioni di Luigi Spinelli (ma perché non ne fa un libro?) e da interventi dei direttori succeduti a Ponti. L' opera non è alla portata di tutte le borse, ma credo che non dovrebbe mancare in nessuna biblioteca. Ponti è scomparso nel 1979, Mazzocchi nel 1984. I grandi se ne stanno andando uno dopo l' altro: Zanuso, Sottsass~ Domus continua ad uscire ed essere letta in novantadue paesi, edita dalla figlia di Mazzocchi, Giovanna, cresciuta praticamente in redazione, e con nomi uno più prestigioso dell' altro che si alternano alla direzione ogni tre anni circa, ultimo Flavio Albanese. Resta una pubblicazione di tutto rispetto. Altri cento di questi anni!, viene da dire. Ma allora, perché provo tanta struggente nostalgia, mi assilla invece l' idea che quegli anni, Cinquanta, Sessanta, Settanta, siano irripetibili? Solo perché sono invecchiato, la mia generazione ha perso l' entusiasmo che aveva in quegli anni? Potrebbe essere, ma non credo sia solo per questo, né che si tratti solo di impressioni. Ne discuto ogni tanto con gli amici. C' è chi pensa che sia colpa del fatto che non si discute più, e chi invece sia colpa del fatto che si à discusso tanto e fatto poco. Qualcuno dà la colpa a Berlusconi, altri agli Americani, e alla guerra per spartirsi i mercati del lusso e delle idee, non meno brutale di quella per aggiudicarsi materie prime e petrolio. Qualcuno sostiene che i guai iniziarono con l' austerità di Berlinguer. Altri se la prendono con una sinistra che ad un certo punto si mise a vaneggiare dei «piani del capitale», mentre il problema era che di piani non ne avevano alcuno, tranne per il giorno per giorno. Philippe Daverio mi fa notare che la "magia" di quegli anni Sessanta fu anche nella collaborazione tra un gruppo di intellettuali molto sofisticati e gli artigiani mobilieri della Brianza. Ha probabilmente ragione, anche le migliori idee non vanno lontano se qualcuno non produce, c' è poco da esercitare la fantasia al potere se non regge il prodotto interno lordo. Ma a quei tempi, oltre al balzo del pil, c' erano il Pci e la Dc, una sorta di «duello tra geni» simile a quello tra Ponti e Mazzocchi, non la rissa da saloon. Per restare in tema di casa e design, il punto più alto di prestigio a livello mondiale lo raggiungemmo forse all' inizio degli anni Settanta, quando il MoMA di New York ci dedicò una mostra epocale: Italy: the New Domestic Landscape. Sono passati da allora trentacinque anni. Temo in discesa. Quando un paio d' anni fa tornai a New York e andai a vedere il nuovo splendido MoMA, mi incuriosì una mostra all' ultimo piano, dedicata alla Nuova architettura in Spagna (dal 2000 in poi). Cose da mozzare il fiato, al cui confronto l' Italia sembra ferma da trent' anni. Non parliamo della Cina. Noi abbiamo ancora Domus, ma a correre sono gli altri.

 

La Repubblica
2 Febbraio 2008

 

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