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Settimana del 3 Marzo 2008

Dal 01.01.2008 al 31.12.2008

Rassegna stampa dei principali quotidiani e del sito Archiworld, relativa agli articoli di interesse per Milano e Provincia.

La polemica Scontro in giunta sui lavori alla basilica. Il critico diserta la riunione sul progetto
Restauro a Santa Maria delle Grazie: Sgarbi isolato


Sgarbi isolato sull'intervento in Santa Maria delle Grazie. Ieri era stata convocata dal vicesindaco Riccardo De Corato la riunione tra assessori e tecnici sul progetto, ma l'assessore alla Cultura non si è presentato e l'assenza ha provocato una piccola rivolta dei colleghi, intenzionati a portare al più presto la delibera in giunta.

L'imputato replica: «Riunione inutile, serve un sopralluogo».

«Dopo averlo aspettato 45 minuti — racconta De Corato — sono riuscito a trovarlo al telefono e mi ha detto che era malato: dopo un'ora era a una conferenza stampa.

Ma voglio sottolineare soprattutto che stiamo parlando di un progetto fermo dal gennaio 2007, sollecitato più volte in passato dall'ex sovrintendente Carla Di Francesco».

De Corato annuncia di aver chiesto, su consiglio del sindaco, una relazione tecnica ai direttori del Comune: «Quando sarà pronta faremo un'altra riunione, ma poi porteremo il progetto in giunta». Il vicesindaco ribadisce che sono tre i motivi per cui è urgente intervenire in Santa Maria delle Grazie (un milione e mezzo di euro la spesa prevista): «Quando piove la chiesa si allaga: vanno sistemate le pendenze della piazza. Poi c'è un problema di sottoservizi da rinnovare, soprattutto la rete del gas. Chi si prende la responsabilità di eventuali perdite? Infine va riparato l'acciottolato».

Seccato da Sgarbi anche l'assessore all'Arredo Urbano, Maurizio Cadeo: «Ringrazio il vicesindaco — premette — per l'appoggio e la comprensione delle logiche progettuali alla base della mia richiesta di approvare definitivamente il progetto. Auspico che il prossimo incontro sia l'ultimo e il definitivo». Duro anche Bruno Simini, assessore ai Lavori pubblici: «Mi sento al servizio della città — commenta dopo la riunione — non di Sgarbi. Nel metodo è stato molto scorretto. Nel merito, credo che la piazza meriti un intervento, poi possiamo discutere su come farlo».

L'assessore alla Cultura non cambia posizione. Per lui l'eventuale rimozione e sostituzione della pavimentazione del sagrato è una «insensatezza ». «L'intervento non va fatto — ribadisce Sgarbi a margine di una conferenza stampa — e comunque la riunione andava fatta lì, sul luogo, per rendersi conto dell'insensatezza ».

Rossella Verga
Corriere della Sera - MILANO -
sezione: Cronaca di Milano - data: 2008-03-04 num: - pag: 4

 

Ai privati 11 aree comunali per 3200 alloggi
Nuove case in periferia per le famiglie in difficoltà
Rinviata per ora l' idea di buoni-affitto ai bassi redditi 260.000 10.000 20.400 3227 Le cifre

 

Parte la costruzione di circa 3.200 nuove case nelle periferie. Venerdì la giunta Moratti approverà bandi di gara per assegnare (a prezzo praticamente simbolico) undici aree di sua proprietà a privati. Perché costruiscano palazzi e appartamenti da assegnare, secondo le regole che prescriverà il padrone di casa ovvero il Comune, a famiglie a basso reddito. Entro il 2010 le case dovranno essere finite e abitate. Un via libera che è anche il terzo, e definitivo, passaggio di un piano-casa approvato ancora dalla giunta Albertini. Quel piano ha avuto già due pacchetti successivi di aree assegnate secondo la stessa logica, con i primi cantieri aperti lo scorso novembre: sono i cosiddetti progetti "Abitare a Milano/1" e "Abitare a Milano/2", con palazzi in costruzione nelle vie Civitavecchia, Ovada, Gallarate e Senigallia. Adesso, il nuovo e robusto round che sblocca undici pezzi di città che il padrone di casa, ovvero il Comune, finora non aveva utilizzato. E che, rispetto ai due precedenti, ha una differenza: vuole ridurre l' edilizia convenzionata e dunque le case che una volta finite vengono vendute, che è poi il motivo economico dell' operazione per convincere i privati a costruire, oltre al costo delle aree praticamente azzerato. E vuole aumentare le case in affitto. Non solo, però, case tecnicamente «popolari» cioè solo per chi ha i requisiti delle graduatorie Erp. Anche categorie con un reddito un po' più alto ma comunque limitato da un tetto definito, soprattutto privilegiando giovani coppie e famiglie numerose, potranno concorrere alle graduatorie di assegnazione che verranno bandite dal Comune. Avendo garantito un affitto superiore all' edilizia residenziale pubblica ma comunque inferiore al prezzo di mercato. Entro ottobre le gare saranno chiuse. Quindi potranno partire i cantieri, e serviranno un anno e mezzo o due per finire tutto. Ma dove saranno costruite le case? Per otto di queste aree dovranno concorrere costruttori privati e cooperative: vincerà chi assicurerà, nel progetto, una più bassa percentuale di case in vendita (la cosiddetta «edilizia convenzionata») e la più alta percentuale invece di appartamenti in affitto a canone scontato ed Erp. è quello che l' assessore all' Urbanistica Carlo Masseroli chiama «il mix sociale» necessario per «evitare nuovi ghetti». Le aree sono sparse un po' in tutte le periferie, la quantità di palazzi in costruzione ovviamente dipende da quanto sono ampie: le più grandi sono a Est in via Merezzate e Ponte Lambro (976 appartamenti previsti nella prima, 924 nella seconda); a Sud nuove case invece in via Chiesa Rossa (solo 32 appartamenti), via Voltri (313) e via Tre Castelli (163); a Ovest via Fratelli Zoia (90); a Nord in via Idro (138) e via Rizzoli (136). In altre tre aree dovrà arrivare lo stesso risultato e anche di più: più case in affitto a prezzi scontati per famiglie messe in difficoltà dai folli prezzi di mercato. Ma queste aree non saranno direttamente messe a gara per i costruttori ma assegnate prima alla Fondazione Cariplo, perché faccia da regista dell' operazione e finanziatore. Qui le case arriveranno a Figino (26mila metri quadrati per 290 appartamenti previsti), via Ferrari (67 alloggi) e via Cenni (100). Il tutto come antipasto, o «progetto-pilota», per arrivare in futuro a cambiare completamente l' approccio al tema case popolari, spera l' assessore all' Urbanistica Masseroli portando in giunta per l' approvazione il pacchetto. Lui vorrebbe anche arrivare a un «buono-casa» del Comune per pagare gli affitti popolari e calmierati. Ma quella è la sua proposta per il futuro. Per ora, in questi progetti, la novità non verrà introdotta.

GIUSEPPINA PIANO
La Repubblica
03-03-08, pagina 2, sezione MILANO

 

Expo, via al conto alla rovescia
Orologio a San Babila per scandire i minuti fino alla decisione
Per gli ultimi appelli al voto in campo a Parigi l´orchestra della Scala e Bocelli
De Corato fa gli scongiuri, Bonino ottimista, già organizzata la festa della vittoria

Ventisette giorni e una manciata di ore al momento della verità. Da ieri c´è un grande orologio a segnare il "count down-Expo" in piazza San Babila. Un simbolo che il sindaco Moratti ha voluto e che i commercianti di Carlo Sangalli («Ottimista sulla vittoria? Io sono ottimista sempre») hanno realizzato. Non è l´unica mossa d´immagine in vista del 31 marzo, quando a Parigi sarà assegnata l´Expo a una delle due concorrenti. E per l´ultimo appello al voto il sindaco si porterà in Francia un robusto gruppo di «testimonial», a partire dal tenore Andrea Bocelli. Ancora in dubbio, invece, la partecipazione di Romano Prodi.

Assi da preparare per la volata finale, appunto. Con un gigantesco dubbio: Milano riuscirà ad aggiudicarsi l´Esposizione universale del 2015, battendo l´unica altra città candidata ovvero la turca Smirne? Impossibile chiederlo al sindaco Moratti: lei ieri, all´inaugurazione dell´orologio in San Babila che segna giorni-ore-minuti-secondi che la separano dal verdetto sull´assegnazione, non c´era. C´era il vicesindaco Riccardo De Corato, che però la domanda vittoria o sconfitta non vuole neppure sentirla. E quando qualcuno l´avanza comunque reagisce con evidenti, doppie corna: «Da uomo del Sud faccio solo gli scongiuri». Più seriamente, il ministro Emma Bonino dice che «gli ultimi dati sono positivi» ma aggiunge «l´avvertimento a non smettere fino all´ultimo». Il governatore lombardo Roberto Formigoni è cauto: «La candidatura è estremamente aperta: non abbiamo motivi per essere ancora sicuri». «Ottimista» garantisce di essere l´assessore Mariolina Moioli, «ottimista ma sapendo che è come la finale di Champions: il risultato non è scontato, diciamo 50 e 50» il collega Massimiliano Orsatti.

L´ottovolante dei pronostici. E le mosse per la volata finale. C´è da muoversi su due livelli: il primo è a Milano, il secondo è a Parigi dove ha sede il Bie, il Bureau che assegna le Esposizioni universali. Nella capitale francese il sindaco si trasferirà a breve in pianta stabile, per seguire in prima persona il "corteggiamento" dei votanti. In trasferta la seguiranno, lunedì prossimo, i Cameristi della Scala per un concerto che Milano offrirà ai delegati del Bie. E sempre alla migliore tradizione italiana si punterà per la presentazione finale della candidatura il 31 marzo. Subito prima della votazione. A Palazzo Marino danno per certo che il tenore Andrea Bocelli vorrà cantare, ma non sarà l´unico testimonial perché altre trattative con personaggi dello sport (dovrebbero esserci Kaká e Seedorf), della cultura e dell´arte sono in corso.

A Milano invece c´è da fare «mobilitazione» su una sfida che finora è stata tutto meno che di passione popolare. Compito affidato a un «Comitato grazie Milano Expo» messo in piedi dall´Associazione Milano bella da vivere nata da una costola della Lista Moratti, e dall´Unione del commercio. Da qui l´orologio acceso ieri in San Babila, 350 chili per cinque metri d´altezza, ma anche i maxischermi il 31 marzo per la diretta della votazione. Da qui anche la «festa di ringraziamento» già fissata per il 6 aprile, e dunque dopo che si saprà se è vittoria o sconfitta, che si farà in corso Buenos Aires. Comunque vada a finire.

GIUSEPPINA PIANO
La Repubblica
Martedì 4 marzo 2008
pagina XII - Sezione Milano

 


Dateo, il Tar boccia il Comune
No al mix con inquilini di diversi ceti: "Lì solo case popolari"
Palazzo Marino vuole destinare due terzi degli alloggi a studenti e lavoratori a termine

 

Tutto da rifare per piazzale Dateo, lo stabile comunale rimasto vuoto e in abbandono per anni, poi ristrutturato senza mai essere abitato e infine lasciato in attesa di destinazione, durante una lunga guerra di posizione fra il Comune e il sindacato degli inquilini. Il Tar della Lombardia ha infatti accolto il nuovo ricorso presentato dal Sicet-Cisl, che aveva chiesto di sospendere la delibera con cui il Comune aveva fissato i criteri di assegnazione per i 122 appartamenti dello stabile rimasti disponibili dopo la sistemazione delle 35 famiglie scampate al crollo di via Lomellina. A due anni dalla prima guerra di ricorsi e sentenze fra l´amministrazione comunale e i sindacati a proposito della iniziale decisione di vendere gli alloggi, ieri è arrivato un nuovo stop. Palazzo Marino deve rifare i suoi progetti sul palazzo della discordia. Ma non si arrende e annuncia un ulteriore ricorso.

La nuova sentenza del Tar riguarda la delibera con cui il Comune aveva deciso di affittare un terzo degli alloggi attraverso le normali graduatorie formate col bando per le case popolari. Ma la delibera prevede anche di destinare i restanti due terzi degli appartamenti a famiglie di ceto medio con possibilità di pagare un «canone moderato» o a «utenti temporanei», come studenti, lavoratori con contratti a termine o di settori di pubblica utilità, come le forze dell´ordine o i trasporti pubblici. L´ordinanza del Tar boccia quest´ipotesi, approvata invece in consiglio comunale quasi all´unanimità, con due soli voti contrari. «Le modalità di gestione riguardo ai due terzi degli alloggi - si legge nel provvedimento del tribunale amministrativo - non sembrano conformi ai criteri dettati dalla normativa regionale».

Il Sicet-Cisl plaude a questa sentenza, che per l´ennesima volta, dopo tanti anni, riporta le lancette dell´orologio al punto di partenza. «Come spesso è successo negli ultimi anni, partendo da una buona dose di malafede e da una lettura sociologica d´accatto - denuncia Leo Spinelli, il segretario regionale - si è cercato per l´ennesima volta di utilizzare impropriamente gli alloggi popolari per altri fini e obiettivi. Così si cerca di nascondere il vero problema di Milano: non i ceti medi, ma la drammatica domanda abitativa nelle fasce economicamente deboli, le 20.000 famiglie che aspettano la casa popolare».

Replica l´assessore alla Casa Gianni Verga: «L´impianto di assegnazione pensato per gli alloggi di piazzale Dateo è improntato a creare quel mix sociale che da tutti è ritenuto fondamentale per non creare condizioni di ghetto. Per ottenere buoni risultati, come dimostrano le sperimentazioni più avanzate, è necessario far convivere i più indigenti con i ceti medi e con utenti temporanei». Verga annuncia che verrà fornita nuova documentazione al giudice e che, se questa non fosse sufficiente, non è escluso un ricorso al Consiglio di Stato. Carmela Rozza, consigliere comunale Pd (ed ex segretario del Sunia-Cgil) commenta sconsolata: «Il ricorso del Sicet è sbagliato, perché contesta il criterio del mix sociale che invece va sostenuto, come ha fatto il consiglio comunale. Ma manca tuttora, in questo senso, una normativa regionale».

ZITA DAZZI
La Repubblica
Martedì 4 marzo 2008
Pagina XIV - Milano

 

Pirellone Mossa a sorpresa dell' assessore al Territorio. Il Pd: è tornato il buonsenso, ma la battaglia non è finita
Parchi, retromarcia della Regione
Ritirata la norma contestata dagli ambientalisti. Forza Italia si dissocia

MILANO - Non ci speravano neppure loro, tant' è vero che avevano già organizzato i comitati per la raccolta di firme per indire un referendum, se la legge fosse passata. Invece, a sorpresa, il «fronte verde» ce l' ha fatta. Ieri, in apertura del consiglio regionale, l' assessore regionale leghista Davide Boni ha annunciato il ritiro dell' emendamento 13-bis, il cosiddetto «provvedimento ammazzaparchi». La modifica affidava alla Regione l' ultima parola nel caso di contenziosi urbanistici fra i Comuni e le aree protette. Ora se ne riparlerà durante la stesura della nuova legge di riordino dei parchi regionali, il cui iter è appena iniziato. «Non rinnego nulla: la norma non è mai stata un via libera alla cementificazione» ha detto Boni, che poco dopo in conferenza stampa ha spiegato le sue ragioni insieme a Milena Bertani, presidente del Parco del Ticino, che nei giorni scorsi, a differenza di altri quindici presidenti dei parchi lombardi, si era espressa a favore della nuova legge. Alla notizia dello stralcio dell' emendamento, il presidio di protesta delle associazioni ambientaliste davanti al Pirellone si è trasformato in una festa. Esultano i Verdi e il «Coordinamento Salvaparchi», che riunisce tra gli altri Legambiente, Fai, Wwf e confederazioni agricole. «E' stata una vittoria straordinaria, dovuta alla mobilitazione di sindaci, cittadini e associazioni» spiega il portavoce Domenico Finiguerra. «Abbiamo salvato da una possibile speculazione edilizia trentotto chilometri quadrati di aree agricole del comune di Milano: con questo emendamento sarebbero diventate edificabili. Ora, però, occorre tener alta la guardia» precisa Carlo Monguzzi, capogruppo dei Verdi in Regione. Anche l' assessore provinciale al Parco Agricolo Sud Milano, Bruna Brembilla, tira un sospiro di sollievo: la norma, secondo l' opposizione, era stata concepita proprio per favorire altri insediamenti in quest' area protetta. «In futuro invito i responsabili regionali ad ascoltare le istanze che provengono dai Comuni e dai parchi» dice la Brembilla. «Ha vinto il buon senso - spiega, invece il consigliere regionale del Pd Franco Mirabelli - Questa legge sulla normativa urbanistica è in discussione da quasi un anno proprio per responsabilità dell' assessore, che ha voluto caricarla di argomenti che non c' entrano nulla». Osservazione, in parte, condivisa anche da Stefano Galli, capogruppo della Lega Nord, che pur negando spaccature interne («Si è trattato solo di uno spostamento della questione da una legge all' altra»), precisa: «Quella norma nella legge urbanistica non aveva alcun senso». Lo stralcio ha provocato reazioni anche all' interno della maggioranza. Giulio Boscagli, capogruppo di Forza Italia, è critico: «Appare strano che dopo quattro mesi di dibattito in Commissione l' assessore Boni, decida improvvisamente di ritirare l' emendamento, assolutamente non "ammazzaparchi" ma volto a valorizzare il territorio lombardo e a rispettare la sua specificità - sottolinea Boscagli -. Accettiamo la scelta, ma non la condividiamo. Non siamo disposti ad accettare, senza essere preventivamente coinvolti, decisioni che con tutta evidenza sono dovute assai più a dissensi e lotte interne alla Lega e non alla difesa del nostro territorio».

Fagnani Giovanna Maria
Pagina 13
(5 marzo 2008) - Corriere della Sera


Colpo di scena al Pirellone, esultano centrosinistra e ambientalisti
Boni ritira la legge ammazzaparchi
L' assessore: non vogliamo passare per cementificatori, troppe strumentalizzazioni L' opposizione: temeva che anche la Lega votasse contro


Salta in Regione l' emendamento ammazzaparchi, contestato da centrosinistra e ambientalisti e difeso strenuamente dall' assessore leghista al Territorio, Davide Boni. Quest' ultimo decide di stralciare il provvedimento dalla legge urbanistica proprio mentre inizia in consiglio regionale la discussione sulla norma: l' opposizione ha pronti 409 emendamenti e associazioni come Wwf, Legambiente, Italia Nostra, Fai presidiano l' esterno del Pirellone. Il discusso emendamento 13 bis sui parchi regola i rapporti fra la Regione, gli enti parco e i Comuni all' interno dei 24 parchi regionali. Secondo l' opposizione, l' emendamento attribuisce alla giunta regionale la facoltà di approvare o respingere le varianti urbanistiche proposte dai Comuni e rifiutate dai parchi. Largo agli appetiti immobiliari, traduce insomma il centrosinistra che per Milano evoca i nomi di Ligresti e Cabassi. Boni, sostenuto da Milena Bertani, presidente del parco del Ticino ed ex assessore regionale ai Lavori pubblici, spiega che la giunta regionale interverrebbe solo in caso di mancata risposta dell' ente parco alla richiesta di variante urbanistica del Comune. «In commissione - risponde Franco Mirabelli del Pd - è stato detto chiaramente che, se il parco si oppone, decide la giunta». E il verde Carlo Monguzzi: «Oggi se il parco dice no non si costruisce. In futuro non sarebbe più così». Ad ogni modo, in aula Boni ha già fatto marcia indietro: «La giunta dev' essere come la moglie di Cesare, non voglio si dica che cementifichiamo le aree naturali. è vero piuttosto il contrario. Guardate com' è ridotto il parco delle Cave. O il parco delle Grigne, dove si costruisce a Olginate. Eppure non sono parchi regionali. Questa norma è stata strumentalizzata in modo incredibile». Il 13 bis torna in commissione, in vista di un inserimento nell' imminente nuova legge sui parchi. Il 19 marzo Boni incontrerà i presidenti delle aree naturali «e fino ad allora lavoreremo su questo testo». L' assessore, così, evita la conta. Marco Cipriano di Sd aveva chiesto il voto segreto puntando sulle divisioni della Lega. L' emendamento sarebbe afflitto da «centralismo regionale», tanto che alcuni amministratori leghisti hanno partecipato alle proteste, come a Cassinetta di Lugagnano, dove il sindaco Domenico Finiguerra (Sinistra Arcobaleno) ha già all' attivo la battaglia contro la tangenziale per Malpensa. Giulio Boscagli, capogruppo azzurro, bacchetta Boni: «Non siamo disposti ad accettare, senza essere preventivamente coinvolti, decisioni evidentemente dovute assai più a dissensi e lotte interne alla Lega che alla difesa del nostro territorio». L' assessore replica: «Qualcuno non ha letto a fondo l' emendamento. Tutti i colleghi sono degni di attenzione». Boni incassa l' appoggio del sindaco Letizia Moratti, che parla di «sintonia e pieno accordo» e di emendamento «pensato per superare eventuali conflitti fra enti». Esulta invece il centrosinistra, che critica tuttavia la legge urbanistica passata in serata con un altro emendamento di Boni: il mantenimento o la creazione di un campo rom in un Comune subiranno il parere vincolante dei Comuni limitrofi. Sgradite anche le limitazioni per la costruzione di moschee e - in particolare a Rifondazione - il 15 per cento di volumetria in più concesso in caso di edificazione nelle aree ferroviarie dismesse.

STEFANO ROSSI
La Repubblica
05-03-08, pagina 2, sezione MILANO

 

Il caso
Bici a noleggio e rastrelliere rincorsa per raggiungere Lione


Caro Schiavi, torno sul tema delle bici e delle rastrelliere. Il Comune continua ad essere sordo alla proposta di usare la stessa formula già in vigore per le aiuole: quella degli sponsor. Così ha lasciato naufragare un progetto già approvato. Le sponsorizzazioni si alimentano a catena e sono un esempio di civismo urbano: ma serve anche la volontà politica. Oggi siamo riusciti con la Curia milanese a mettere una rastrelliera davanti alla chiesa di San Marco: è poco, ma ne avremo altre presto davanti ad alcune chiese. L' obiettivo resta quello di dotare di parcheggi per bici le zone dove molti milanesi si recano per lavoro, vicino a banche e uffici. Un piccolo segnale, un contributo ad una Milano pulita, ordinata ed ecologica. Luigi Lazzaroni Caro Lazzaroni, nei mesi scorsi c' è stato un vero e proprio pellegrinaggio di amministratori milanesi in una città che della bici ha fatto un punto d' orgoglio: Lione. Potevano andare anche a Barcellona, dove per i piccoli spostamenti urbani ci si infila su una bicicletta che si può lasciare in una rastrelliera pubblica. Beh, il confronto è impari: Lione ha poco più di 600 mila abitanti, 300 chilometri di piste ciclabili collegate e 350 stazioni di bike sharing, 4 mila bici a noleggio. Milano ha quasi un milione e 300 mila abitanti, 70 chilometri di piste ciclabili non collegate fra loro, zero stazioni di car sharing, zero bici a noleggio. Se la sua proposta fosse stata accolta e realizzata avremmo almeno qualche rastrelliera in più (e io credo che un Comune dovrebbe far tesoro delle offerte di collaborazione che vengono dai cittadini a costo zero). Ma il problema è un altro: ci risulta che dopo una lunga inerzia, l' assessore Croci dovrebbe far partire il progetto bici-a-noleggio-modello-Lione. Qualche tempo fa è stato annunciato: inizio 2008, se non sbaglio. Ci dovremmo essere. Non se la prenda, dottor Lazzaroni: il Comune sembra avere l' intenzione di fare le cose in grande. Noi la ringraziamo lo stesso: con le aiuole sponsorizzate ha già vinto una bella partita. gschiavi@rcs.it


Schiavi Giangiacomo
Pagina 9
(5 marzo 2008) - Corriere della Sera

Il caso
Quel parcheggio da sempre contestato «Bocciato dal Tar ma avviato lo stesso»


In via Ampère, zona Città Studi, gli appartamenti hanno crepe alle pareti, un palazzo si è staccato di 5 centimetri da quello accanto, gli inquilini hanno avviato cinque cause in Tribunale: contro il parcheggio scavato davanti alle loro finestre, che ha distrutto le loro case. La piscina Cozzi di viale Tunisia è stata danneggiata, crepe sul fondo della vasca: colpa dei lavori del vicino parcheggio in via Manuzio (ad accusare stavolta è il Comune). Per capire cosa è accaduto ieri in Cardinal Ferrari servirà la perizia di un ingegnere, il consigliere dei Verdi Maurizio Baruffi però riflette: «Ora sono un po' troppe le coincidenze di incidenti nei luoghi attigui ai parcheggi, a questo punto i timori per i lavori vicino a Sant' Ambrogio si fanno sempre più pressanti». In realtà il cantiere di piazza Cardinal Ferrari è un luogo interessante per diversi altri motivi: fornisce esempi di alcune «scioltezze» procedurali che negli scorsi anni hanno oliato il megabusiness dei parcheggi interrati di Milano. Date di inizio lavori che senza spiegazione si modificano in corso d' opera. Un ingegnere, dirigente del Comune, che era «stato trasferito» e «sospeso» da tutti gli incarichi relativi ai parcheggi, ma il suo nome figura ancora qui come componente del «comitato di vigilanza». E infine un ricorso al Tar: accolto, ma ignorato. Succede questo: il bando è datato 1998, la gara viene aggiudicata, ma un' azienda fa ricorso al Tar. Motivo: uno dei criteri dell' assegnazione è stato modificato dopo l' apertura delle buste. Il Tar accoglie il ricorso e annulla la gara. Tutto da rifare, c' è qualcosa che non torna. Ma il tempo stringe: siamo nel 2002, il sindaco Albertini è stato nominato da un anno commissario straordinario al Traffico, c' è lo stato di emergenza. Bisogna iniziare a scavare. E qui il provvedimento del commissario datato 4 marzo 2002 dice tutto: «La rinnovazione integrale» della gara «richiede tempi troppo lunghi nell' attuale stato di emergenza», il Comune ha fatto ricorso al Consiglio di Stato ma la decisione non arriverà in «tempi compatibili», e soprattutto: «I motivi di censura accolti dal Tar, che hanno inficiato la procedura di gara, non sono di fatto influenti nell' individuazione del concessionario, perché il risultato finale non cambia». E il ricorso? Il Tar ha detto che era fondato... Pazienza. Il concessionario è individuato e non c' è Tar che tenga: è la Cooperativa Archi. Impresa esecutrice: Borio Mangiarotti di Claudio De Albertis, fratello dell' ex assessore alla Salute Carla e presidente Assimpredil (che sta costruendo anche il parcheggio in Sant' Ambrogio). Vista l' emergenza così pressante per l' aria e il traffico di Milano, i lavori saranno iniziati immediatamente. E invece no. Il 4 marzo 2002 si aggira il Tar, ma il permesso di costruire arriva 3 anni e 7 mesi dopo (8 settembre 2005). Non è finita. La data inizio lavori indicata sul cartello del cantiere era proprio settembre 2005. Tempo di conclusione: 710 giorni. Ma a settembre 2007 una misteriosa etichetta adesiva sposta quella data di sei mesi in avanti. «Sarà stato mica per recuperare un po' di tempo sui ritardi?», si chiedeva un lettore del Corriere in una lettera.


Santucci Gianni
La Repubblica
07-03-08, pagina 13, sezione MILANO

 

Così torino sfida la capitale dei creativi
il mi-to del design

Il premio Compasso d' oro trasloca sotto la Mole e apre un anno di appuntamenti che qui nessuno voleva davvero Annichiarico: l' anno super di Torino sarà un bene per tutti Milano quattro anni fa snobbò l' iniziativa internazionale Oggetti di culto

 

Milano, regina del design, ha perso una bella occasione. Torino, invece, l' ha acchiappata al volo ed è stata incoronata World Design Capital per un intero anno, il 2008, mettendo in campo 250 manifestazioni e appropriandosi temporaneamente anche del Compasso d' Oro dell' Adi, il maggior riconoscimento italiano nel settore del disegno industriale, creato nel ' 54 dalla Rinascente. Quest' anno per la prima volta la premiazione del Compasso non avverrà a Milano ma alla Venaria Reale di Torino, con una mostra, dal 23 aprile, dei 400 pezzi storici della collezione, posta sotto la protezione dei Beni Culturali. World Design Capital poteva essere Milano, la città del Salone del mobile, che ha fatto la fortuna di architetti italiani e stranieri e che sul fronte della creatività applicata a tutto ciò che arreda ancora non ha rivali. Ma la delegazione dell' Icsid, l' associazione mondiale del design, non fu neppure ricevuta, era il 2004, dall' allora sindaco Albertini. L' amministrazione snobbò un' opportunità, accolta invece a braccia aperte dal torinese Chiamparino. Spiega Gilda Bojardi, direttrice della rivista Interni, artefice della settimana del design durante il Salone, che sta anche curando la guida per World Design Capital: «Milano si è lasciata sfuggire questo riconoscimento internazionale. L' amministrazione è stata distratta, ha dato poco peso a una questione che invece andava valutata con più attenzione. Ha disatteso un richiamo internazionale e loro si sono rivolti ad una città dove il disegno industriale ha una storia importante. Torino è una città molto attiva, con un sindaco dall' azione efficace, e ha saputo rispondere adeguatamente. Ma la capitale del forniture design è, e resta, Milano. Non si discute». In più, per una serie di fortunate circostanze, quest' anno Torino sarà anche sede (dal 27 giugno al 2 luglio al Lingotto) dell' Uda, il congresso mondiale di architettura che richiama, ogni tre anni, architetti da tutto il mondo. L' ultima volta che si svolse in Italia fu 49 anni fa, nel 2005 la prescelta fu Istanbul. «Si dà talmente per scontato che Milano sia il centro del mondo del design che ci si dimentica di tener vivo questo sentimento - aggiunge il designer Fabio Novembre - . E siccome a Milano siamo un po' eccentrici, la nomina a World Design Capital l' amministrazione la snobba e va a finire che la manifestazione si fa nella casa di campagna, Torino, invece che in quella di città. Ma la leadership del sistema design, il cuore pulsante, è tutto qui. Torino non potrebbe mai essere un' alternativa». Anche per l' architetto e designer Alessandro Mendini «Milano si è fatta sfuggire un' occasione che, se colta, poteva aumentare le sinergie sul fronte design. A Torino ci saranno cose di qualità e inutili, come succede anche al Salone, ma quel che conta è l' insieme che produce discussione, e la discussione è sempre positiva». Non la vede male Silvana Annichiarico, direttrice del museo del Design in Triennale, dove si sono svolte le ultime premiazioni del Compasso. «La designazione di Torino è un' ulteriore possibilità di estendere e rafforzare la presenza del design sul territorio - dice - . Si preconizza la formazione di un nuovo polo Mi-To, che sappia fondere la cultura di due città accomunate da una vocazione politecnica. A Milano non si ruba nulla. Si rafforza un asse, e per un anno l' attenzione sarà più su Torino». «La questione della creatività e della competitività intelligente per noi è centrale - spiega Andrea Bairati, assessore alla Ricerca, innovazione, industria del Piemonte e vice presidente del comitato organizzatore di World Design Capital -. Questa manifestazione apre una strada di collaborazione con Milano, con cui speriamo di fare sempre più cose insieme».


ANNA CIRILLO
La Repubblica
08-03-08, pagina 9, sezione MILANO

Crollano 4 rampe di scale dieci famiglie senza casa
Gli abitanti: 'Colpa del cantiere per il parcheggio' 'Mi sembrava il terremoto'. Cauti i tecnici sulle cause: 'Il marmo ha ceduto'

 

Ha sentito il boato e si è gettato fuori dal palazzo, appena in tempo per evitare di essere sepolto dalle macerie. «Ho avuto paura di morire, sono vivo per miracolo», dice ora Dario Suardi, l' imbianchino 36enne scampato al crollo improvviso di quattro rampe di scale ieri alle 8.20 in un vecchio palazzo in piazza Cardinal Ferrari, in zona Porta Romana. Il crollo non ha provocato feriti, ma le 10 famiglie che abitano lo stabile sono state subito evacuate. Fra loro, due ultranovantenni e sei bambini. «Potranno tornare a casa quando saranno costruite le scale provvisorie in ferro, quindi non prima di 15 giorni», dice l' assessore alle politiche sociali Mariolina Moioli che ha messo a disposizione posti in hotel. Ma tutti gli sfollati hanno trovato alloggio presso amici e parenti. La cascata di marmo che si è abbattuta al pianterreno è stata innescata dal crollo di alcuni gradini del quinto e ultimo piano che cadendo, per effetto domino, hanno provocato il cedimento di tutte le scale sottostanti. «Ho pensato a un terremoto, ero pronto al peggio», racconta Piero Martini, custode dello stabile. La signora Marina Franci al momento del crollo stava scendendo le scale. «Ho sentito le scale cadere dietro di me, ho corso fino alla porta di casa di una vicina, ero terrorizzata». Per conoscere la ragione del cedimento bisognerà attendere i rilievi dei tecnici, ma il sospetto dei condomini è che sia stato provocato dalle vibrazioni del cantiere per la costruzione del parcheggio sotterraneo da 502 posti di piazza Cardinal Ferrari. I lavori sono iniziati l' 8 febbraio 2006 e dovrebbero terminare l' anno venturo. Dario Guazzoni, l' amministratore del condominio, ieri mattina ha invitato formalmente la società che gestisce i lavori, la Borio Mangiarotti, a «un incontro per stabilire la causa del crollo e l' eventuale composizione bonaria della vicenda». A sera la risposta della società non era ancora arrivata. Da mesi i cittadini degli edifici vicini al cantiere denunciano crepe nei muri, anche profonde. Nicoletta Barbetta abita al primo piano dello stabile. In camera sua c' è una crepa che dal pavimento arriva al soffitto. «Si è formata lo scorso dicembre, quando in cantiere si lavorava per pompare via acqua dalle fondamenta». Nello stesso periodo si sono crepate le pareti di tutti i sei appartamenti dello stabile di via San Calimero 17, e a dicembre i residenti hanno fatto un esposto all' ufficio Edifici pericolanti del Comune. L' assessore alle Infrastrutture Bruno Simini, con delega ai parcheggi, invita ad «attendere i rilievi dei tecnici prima di azzardare una qualunque ipotesi, tanto più che ai nostri uffici non era arrivata nessuna segnalazione su quel cantiere, gestito da privati». Per Davide Corritore, consigliere del Pd a palazzo Marino, «il problema delle crepe era noto da tempo. Il Comune dovrebbe fare verificare la condizione statica dei palazzi nelle zone in cui si costruiscono parcheggi. Non si può mettere a rischio la vita dei cittadini e consentire il saccheggio della città da parte dei privati». Antonio Acerbo, direttore dell' area tecnica del Comune, dopo un sopralluogo effettuato ieri nel pomeriggio ritiene «estremamente improbabile che i lavori del parcheggio abbiano causato il crollo, potrebbe trattarsi di una semplice frattura nel marmo dei gradini al quinto piano».

FRANCO VANNI
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(8 marzo 2008) - Corriere della Sera


Progetti Tempi lunghissimi per costi e burocrazia
Il dilemma dei tecnici: demolire o ristrutturare?


Il nuovo nasce già vecchio. È la «dittatura» dello sviluppo tecnologico. In Italia, nel settore dell' edilizia ospedaliera, alla fatica di stare al passo con il normale corso del progresso bisogna aggiungere il salto a ostacoli di ogni tipo. Così anche senza voler pensare al malaffare, spesso le migliori intenzioni finiscono frustrate dalla burocrazia e da contenziosi senza fine. Se la sola progettazione richiede tempo, la traduzione del pensiero in azione diventa quasi un esercizio di retorica. «Ottimisticamente, oggi ci vogliono circa 6 anni dalla progettazione alla realizzazione di un ospedale», ammette Romano Del Nord, docente di tecnologia dell' architettura alla facoltà di Architettura di Firenze. Già. Nel frattempo, che cosa fare delle strutture esistenti? Meglio seguire un modello unico di progetto, come quello proposto da Renzo Piano o diversificare? È ancora valida l' idea dell' architetto genovese? Su un punto gli addetti ai lavori non hanno dubbi: in linea di principio, è più conveniente costruire ex novo che ristrutturare edifici vecchi di 70 anni o più. Quando si scende nel dettaglio, però, le posizioni cambiano. «Non è quasi mai è opportuno rimettere le mani su ospedali esistenti, se non per piccole porzioni - riflette Andrea Bambini, ingegnere progettista a Gubbio -. Il lavoro di ristrutturazione ha un tale impatto sull' attività dell' ospedale che spesso la rallenta o la diminuisce notevolmente. Americani e francesi sono più coraggiosi: se un ospedale ha 35 anni, ci tirano una riga sopra e ne costruiscono un altro. In Asia, a Singapore, certi ospedali sono stati rifatti dopo 20 anni». Viene da sorridere quando si pensa che la costruzione di un ospedale come quello di Brindisi ha avuto una gestazione di 36 anni. La vetustà del patrimonio ospedaliero, in molti casi, comporta anche il rispetto di vincoli storici e architettonici. «Spesso i modelli delle strutture esistenti sono quelli dell' ospedale novecentesco - aggiunge Emilio Pizzi, docente di Architettura tecnica al Politecnico di Milano e uno dei progettisti del nuovo Policlinico di Pavia - con impianto a padiglioni e con grossi problemi di dispersione sul territorio, di distribuzione delle reti di alimentazione ma anche di trasferimento dei pazienti. Ma hanno alcune qualità: il sistema del verde tra edifici, volumetrie non grandi, cresciute all' interno della città. Allora perché buttarli via invece che tenerli? Forse è meglio una via di mezzo. Come abbiamo fatto al Policlinico San Matteo di Pavia, dove abbiamo decentrato le funzioni a minor densità di cura o gli ambulatori nelle vecchie strutture e costruito la "piastra" dell' intensività». La realtà dell' edilizia ospedaliera sembra però andare solo in una direzione: nell' 80 per cento dei casi si ristruttura il vecchio e solo nel 20 si costruisce il nuovo. «È un' assurdità - sostiene Braccio Oddi Baglione, vice presidente di Oice, l' associazione di categoria che rappresenta le organizzazioni italiane di ingegneria, architettura e consulenza tecnica -. Come associazione abbiamo lanciato la proposta di demolire e ricostruire, sia per il settore ospedaliero che per quello residenziale. L' ospedale ha una funziona di aggregato urbano e andarlo a costruire in periferia non ha senso. Secondo noi è meglio rifare l' ospedale dov' è». E il modello Piano? «Impossibile fare tanti super modelli - dice Del Nord -. Il progetto Piano era condivisibile, perché coniugava il principio dell' umanizzazione con quello dell' efficienza. Ma anche questo sta diventando obsoleto. Perché? La tendenza, verso la quale si sta già orientando la sanità privata, è di concentrare i servizi di diagnostica altamente sofisticata in ambulatori o centri fuori dall' ospedale, anche per ridurre l' afflusso continuo dei pazienti». Di parere opposto Enrico Rossi, assessore regionale della Toscana, coordinatore degli assessori regionali alla Sanità: «Siamo il Paese dei "ma" e dei "però". Abbiamo appena concordato con il ministero della Salute altri 3 miliardi che si aggiungono ai 17 già stanziati per l' ammodernamento delle strutture sanitarie. Credo che l' idea di Piano mantenga tuttora la sua validità. Certo preferiamo costruire ex novo, ma i vecchi siti ospedalieri li risistemiamo e li usiamo per riqualificare il tessuto urbano».

Corcella Ruggiero
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(9 marzo 2008) - Corriere della Sera


La proposta L' assessore individua l' area per la sua idea di «sexy market»
Sgarbi: «Alla Bicocca un quartiere a luci rosse»

Il Pdl si divide, la zona a nord di Milano in rivoltaLa proposta dell' assessore alla Cultura di Milano mira a combattere il racket della prostituzione

MILANO - L' intento: «Dobbiamo combattere il racket della prostituzione». Tutti d' accordo. Un po' meno quando l' assessore milanese alla Cultura, Vittorio Sgarbi, espone la sua ricetta: «In città servirebbe un quartiere a luci rosse». La provocazione è lanciata: giunta (di centrodestra) divisa, proteste (bipartisan) in consiglio comunale. E le polemiche aumentano quando il critico indica l' eventuale location del sexy sobborgo: la Bicocca. Mercato del sesso là dove sorgono il Teatro degli Arcimboldi, l' Università degli Studi, l' Hangar che ospita i lavori dei più grandi artisti contemporanei. Ma questa volta la reazione è unanime: «I bordelli qui non li vogliamo». Una zona hard dove esercitare la prostituzione. A nord di Milano, nella ex area industriale della Pirelli che con i suoi 960 mila metri quadrati costituisce il più importante intervento di trasformazione urbanistica in Italia. La premessa di Sgarbi: «Non ho dubbi sull' opportunità di creare uno o più poli a luci rosse. Si potrebbe trattare con il mondo delle prostitute e le loro associazioni. Mi pare la cosa più ovvia, a vantaggio sia delle donne che dei clienti». Le prime reazioni arrivano dalla politica: consensi tra le «assessore» Ombretta Colli e Tiziana Maiolo (FI), no del vicesindaco Riccardo De Corato (An) e del capogruppo del Pd in Comune Marilena Adamo. Il deputato azzurro Maurizio Lupi commenta: «Indicare un luogo dove lo sfruttamento della donna diventa un simbolo è un insulto alla tradizione di Milano». Tra i critici c' è anche il presidente della Provincia di Milano, il democratico Filippo Penati: «Un giorno il Comune propone il kit antidroga, quello dopo i quartieri a luci rosse. Un atteggiamento un po' schizofrenico. È doveroso, invece, pensare alla dignità delle donne, non al comfort del cliente». Sgarbi insiste: «È una soluzione civile. Il quartiere ideale? La Bicocca». E come se non bastasse aggiunge: «Quelle case sono scatole da scarpe senza identità. La gente non esce la sera. Non sarebbe di nessun disturbo un casinò del sesso in uno di quei palazzoni». Ed è a quel punto che la polemica sale di tono. Il primo a insorgere è Marcello Fontanesi, rettore dell' Università degli Studi Milano-Bicocca, 10 anni di vita e 30 mila iscritti: «È vero, il quartiere potrebbe essere più vivo. Ma non condivido il concetto di ghetto. Sgarbi si concentri sulla cultura: credo che ce ne sia bisogno». Il più offeso è Andrea Stratta, amministratore delegato della «Uci Cinema», la società che possiede un multisala nel cuore della Bicocca: «La zona è viva. Abbiamo un milione di spettatori l' anno». Non chiamatelo quartiere dormitorio. Marco Gianfala, presidente del comitato «Vivibicocca», osserva: «Abbiamo il più alto tasso di natalità di Milano». Stoccata all' amministrazione: «Sono anni che chiediamo strutture per i bambini. Se questa è la risposta del Comune...». Coro unanime: «Lo facciano da un' altra parte». Perché il problema è tutto qui: la paura che il mercato del sesso porti degrado, spaccio, violenza. Lo sa bene don Andrea Gallo, fondatore della comunità di San Benedetto, alle porte di Genova: «Le zone a luci rosse non sono la soluzione. Bisogna avere il coraggio di dare alle prostitute la possibilità di organizzarsi in piccole cooperative. Superando ogni pregiudizio». * * * In Europa Amsterdam Gli abitanti sono scesi in piazza per difendere il quartiere a luci rosse *** Anversa La città belga ha circoscritto «l' eros center» tra due strade, in una galleria costruita ad hoc *** Berlino Alla prostituzione vengono riservati bar con camere privé e bordelli sparsi per tutta la città *** Londra Il quartiere di Soho è stato per oltre tre secoli punto di riferimento per la prostituzione * * * Il sociologo Martinotti ironico: che bravo! MILANO - Il commento è sarcastico: «Benissimo, perfetto! Potremmo fare come ad Amsterdam: prostitute in vetrina. Ma sì: magari tra un dipartimento e l' altro, togliendo agli studenti qualche laboratorio. O sistemando le "signorine" in mezzo ai telescopi, o tra i preziosi macchinari utilizzati dai ricercatori». Il sociologo Guido Martinotti, per anni prorettore dell' Università degli Studi Milano-Bicocca, attacca Vittorio Sgarbi usando l' arma dell' ironia: «Ben vengano le sue idee. Così, oltre alle case rosse (è il colore distintivo del nuovo quartiere Bicocca, ndr), avremo anche le luci rosse». Nessuna voglia di commentare sul serio la boutade del critico d' arte: «Lo invito a proseguire e a rendere davvero divertente questo quartiere così triste, popolato da persone che tutti i giorni studiano e si impegnano. Così, finalmente, avremo un assessore alla Cultura che davvero si impegna per la cultura milanese».

Sacchi Annachiara
Pagina 20
(9 marzo 2008) - Corriere della Sera

Dimezzato il piano-casa di Albertini
Ventimila alloggi promessi, ne sopravviveranno meno della metà, Gran parte dei progetti previsti su aree vincolate e inquinate. Masseroli: 'Non erano adeguate all' edilizia abitativa'

 

«Non adeguate per l' edilizia abitativa», e dunque da lasciare così come sono. Terra di nessuno. Il Comune ci ripensa e dimezza quel piano-case che l' ex sindaco Albertini e la sua giunta avevano impiegato anni a studiare. La promessa diceva 20mila nuovi appartamenti per fasce deboli su un milione e 200mila metri quadrati in periferia. Ma la nuova giunta Moratti è certa che, delle 46 aree individuate allora per costruirci palazzi, una buona metà non è in realtà utilizzabile. E dunque, non si proverà neanche a metterci sopra un mattone. Piano-casa dimezzato, dunque, e i 20mila appartamenti promessi diventeranno meno della metà. Le ultime chance spendibili di quel pacchetto sono state appena sbloccate dalla giunta di Letizia Moratti: parte la costruzione di 3.200 alloggi in undici aree dell' elenco avuto in eredità (tutte in periferia, da Ponte Lambro a via Idro, da via Chiesa Rossa a via Rizzoli), si prevede che entro il 2010 le case possano essere in parte vendute (in edilizia convenzionata, tra 1.650 e 2.000 euro al metro quadrato) e nella maggior parte assegnate in affitto a famiglie in lista d' attesa per una casa popolare. O da sostenere con canone agevolato, come single con figli, famiglie numerose con almeno cinque componenti. E poi le giovani coppie, che però non potranno essere semplicemente conviventi, ma dovranno essere inderogabilmente cementate da un certificato di matrimonio. E ancora, qui si potrebbero traslocare inquilini delle case popolari che oggi abitano in palazzi talmente malandati che devono essere rifatti da cima a fondo. O addirittura abbattuti, per ricostruirli (ma quali e dove è ancora tutto da studiare). La Regione ci mette 30 milioni di euro, il Comune altri 20. E le altre 17mila case promesse dal piano-Albertini? In otto aree i cantieri sono partiti o stanno partendo, per 1.200 appartamenti. Altre quattro sono finite per l' edilizia universitaria, per migliaia di mini-appartamenti per matricole fuori sede. Mettendo insieme tutto, però, non si raggiungerà mai neppure la metà dei 20mila alloggi previsti. E che il piano-casa ereditato dalla giunta precedente fosse in realtà irrealizzabile lo certifica, oggi, l' assessore all' Urbanistica Carlo Masseroli: «Le restanti aree previste le riteniamo non adeguate per l' edilizia abitativa». Il suo collega Gianni Verga, oggi assessore alla Casa ma prima ancora assessore all' Urbanistica della giunta Albertini e in quanto tale padre del pacchetto-casa, replica gelido: «Se si sono rilevati dei problemi, sono dovuti ad approfondimenti successivi alla nostra delibera. Che io non conosco». Negli uffici dell' Urbanistica intanto spiegano che per loro c' erano intoppi tali che il gioco non valeva più la candela: bonifiche da fare troppo costose, vincoli urbanistici o di servitù che non se veniva a capo, elettrodotti da spostare. E dunque, meglio lasciar perdere. E mettersi a cercare altre aree dove costruire case per i deboli.

GIUSEPPINA PIANO
La Repubblica
09-03-08, pagina 5, sezione MILANO

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