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Settimana del 30 luglio 2007

Dal 01.01.2008 al 31.12.2008

La Repubblica
31-07-07, pagina 1, sezione MILANO
Controcanto
Urbanistica La finta democrazia di palazzo
LUCA BELTRAMI GADOLA


Gentile signora Letizia Moratti, sindaco, una decina di giorni orsono Ella ci ha invitato alla Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale: voleva illustrarci il percorso pensato per condividere con i cittadini le scelte urbanistiche che avrebbero dato corpo al Piano di governo del territorio. Partecipare e condividere le scelte sembravano essere le parole d' ordine. Nemmeno una settimana dopo Ella c' informa di aver deciso l' avvio delle procedure legate alla realizzazione di una Cittadella della giustizia nel Sud di Milano sulle aree già di proprietà del Consorzio per il canale navigabile, quelle stesse che un paio d' anni orsono l' allora assessore Gianni Verga aveva dichiarato destinate alla Cittadella dello sport in previsione delle Olimpiadi del 2016. Era subito partito un bel Comitato ufficiale con dentro più o meno sempre le stesse facce a Lei note e conservo una bella foto del sindaco Albertini e del presidente Formigoni che si sbracciano indossando la maglietta bianca della nuova squadra dei promotori olimpici. Lo stesso presidente Formigoni che presenta ora con Lei la Cittadella della giustizia (delle olimpiadi del 20016 allora non si parla più, visto che l' area del Consorzio era l' unica ad avere le caratteristiche adatte alla Cittadella dello sport?). Ma torniamo a noi. Non posso credere che il giorno della conferenza alla Sala delle Cariatidi Ella non ne sapesse nulla del progetto della Cittadella della giustizia. (SEGUE A PAGINA V) Si tratta di un' operazione immobiliare che interessa un' area grande cinque volte quella della Fiera, ora Citylife, che ha destato tanto rumore in città. Non solo ma è accompagnata da due "dismissioni" sulle quali pure da almeno un decennio si dibatte: il palazzo di giustizia ed il carcere di San Vittore. Siamo dunque di fronte alla più grande operazione immobiliare in Comune di Milano, quella che le batte tutte. Ma è importantissima non solo per le sue dimensioni ma perché, se si farà, andrà ad incidere sull' assetto - ed i valori - dell' attuale area del palazzo di giustizia e dei suoi dintorni che si sono terziarizzati per far posto agli studi legali ed all' indotto collegato. Si deve riaprire la questione della futura destinazione del carcere di San Vittore. Per essere chiari il Piano di governo del territorio con o senza Cittadella della giustizia fa la differenza tra il giorno e la notte. La scelta del luogo non pare in ogni caso felice: il palazzo di giustizia teoricamente andrebbe posto al centro del bacino di utenza e Rogoredo non lo è; i treni locali che fermano a Milano Rogoredo sono tra i peggiori della rete e la linea 3 della Mm è la più disagevole (vedi il rumore che è notizia di questi giorni). Del planivolumetrico mostrato alla stampa non parlo perché immagino che sia solo una bozza. Del rapporto con i privati che interverranno a finanziare l' operazione prendendosi in cambio le aree di San Vittore e del palazzo di giustizia non ho voglia di parlare ma vorrei mettere i nomi in una busta e darla al notaio. Difficile sbagliare. Mi resta una domanda nel gozzo: perché fare questo annuncio adesso? Stavamo partendo per le vacanze pieni di speranza - di illusioni - sul nuovo corso dell' urbanistica milanese: l' urbanistica del rilancio. Invece no: "Stessa piaggia stesso mare", stessa urbanistica.

La Repubblica
04-08-07, pagina 3, sezione MILANO
Il capogruppo dell' Ulivo: operazione che non convince
Adamo: 'Un accordo in cui Milano è perdente'


la decisione Al Consiglio verrà presentato un pacchetto già definito, dov' è il dialogo con la città? i tempi C' è troppa fretta di modificare il piano regolatore prima di sapere se l' Expo si farà l' intervista


Marilena Adamo, capogruppo in consiglio comunale dell' Ulivo, questo accordo in via di perfezionamento fra Comune, Fondazione Fiera e Gruppo Cabassi la convince? «Per niente. L' accordo prevede che il diritto di superficie concesso al Comune si estingua dopo l' Expo e che le aree tornino ai privati, ma con la destinazione d' uso da agricola ad edificabile. E l' indice di edificabilità concesso è robusto, mentre di vincoli per le proprietà non ce ne sono, a parte il divieto di installare attività produttive insalubri, che mi pare il minimo. Al Comune resta uno steccone di padiglioni che si trasforma in una struttura permanente la cui utilità per l' amministrazione, finita l' Expo, è dubbia». Il Comune parla di un accordo equilibrato. Non è una prima applicazione di quella Borsa di scambio delle destinazioni d' uso delle aree promossa dall' assessore all' Urbanistica Masseroli? «Sappiamo che il primo progetto presentato dal Comune ai privati è stato bocciato da questi ultimi perché c' erano delle criticità. Vorrei sapere quali erano. C' è molta urgenza, come si vede dai tempi sulla variante di Piano regolatore». In che senso? «Il testo di questa intesa andrà spedito al Bie, il Bureau International des Expositions, ai primi di settembre e per il Bie l' intesa sarebbe sufficiente. Il Comune invece stringe i tempi, vuole approvare la variante di Piano regolatore già a novembre. Solo poi il Bie deciderà fra Milano e Smirne». La bozza di contratto prevede che sia tutto condizionato all' assegnazione dell' Expo. «Sì, c' è questa clausola di dissolvenza, ma una volta che hai reso edificabili delle aree agricole hai fatto il passo più importante, non è semplicissimo tornare indietro. Un altro punto delicato è la facoltà di Fiera di vendere ad altri. è vero che l' eventuale acquirente assume gli stessi obblighi ma il Comune dovrebbe avere una controparte certa. Metti che subentri qualcuno con cui abbiamo un contenzioso». Teme un altro megaprogetto foriero di proteste e contestazioni? «Da settembre dobbiamo aprire una discussione seria, prima che si parli della variante, perché oggi su quelle aree non posi uno spillo, domani ci fai quello che vuoi. Con questa operazione si potrà costruire molto e al consiglio verrà presentato un pacchetto predefinito. Che margine di decisione viene lasciato alla città? Tutti vogliamo l' Expo ma deve essere il volano di uno sviluppo qualitativo. Altrimenti è inutile che il sindaco si riempia la bocca con l' urbanistica partecipata se finisce come con la cittadella della giustizia, decisa senza consultare nessuno». (ste. ro.)

La Repubblica
04-08-07, pagina 3, sezione MILANO
politica ed economia/Fiera, patto tra Comune e costruttori in vista di Expo 2015
Nuovo cemento nell' area di Rho-Pero


La destinazione d' uso dei terreni verrà cambiata da 'agricola' a 'edificabile' In gioco il milione e 280mila metri quadrati su cui sorgeranno i padiglioni Entro un anno e mezzo dalla fine della manifestazione Palazzo Marino dovrà lasciare libera la zona ai proprietari privati

STEFANO ROSSI

Mancano otto anni all' eventuale Expo del 2015, la cui assegnazione sarà decisa nella primavera del 2008. Ma è ora che si decidono i giochi urbanistici, con un formidabile ridisegno della città che prefigura una forte edificazione su un milione e 280mila metri quadrati. A tanto ammonta l' estensione dello spazio destinato all' Expo, secondo una convenzione in via di discussione fra il Comune di Milano e i proprietari dei terreni. L' area è divisa fra Fiera (circa 50 per cento), società Belgioiosa del Gruppo Cabassi (40), Comune di Milano e Poste italiane (5 per cento a testa) e si trova in zona Fiorenza fra Rho e Milano, nella fascia di connessione fra la città e il Polo esterno della Fiera. Collocazione pregiata grazie all' accessibilità (metropolitana, passante ferroviario, alta velocità ferroviaria, autostrade) ma virtualmente inutilizzabile, a causa del vincolo agricolo nel piano regolatore. L' originaria bozza di contratto preliminare presentata dal Comune non è piaciuta ai proprietari, per cui Fiera e Gruppo Cabassi hanno formulato una nuova proposta. Questa: al Comune viene ceduto il diritto di superficie su questo milione e 280mila metri quadrati per poter costruire le opere permanenti e transitorie dell' Expo. Naturalmente, occorre approvare una variante di Piano regolatore per rendere le aree edificabili. Viene proposto un indice di edificabilità, che al netto di servizi pubblici e funzioni pubbliche sarà di 0,60 metri quadrati di costruito per ogni metro quadrato di superficie. Che non è poco. L' area assegnata in via definitiva - vale a dire in proprietà - al Comune comprenderà i 55.000, massimo 60.000 metri quadrati di cosiddetta slp (superficie lorda pavimentata) della torre progettata come emblema dell' Expo, i padiglioni tematici (ma Palazzo Marino ne affitterà due dal Polo esterno), le strade, il parco, il laghetto che sono nella planimetria già nota del progetto per il 2015. Tutto il resto, le opere non permanenti, saranno demolite a spese della mano pubblica, che dovrà liberare le aree non oltre 18 mesi dalla fine dell' Expo e mettere a disposizione della Fiera un parcheggio da duemila posti. Finita l' Expo, il contratto prevede che i proprietari presentino un piano attuativo «atto alla valorizzazione delle aree» con quasi assoluta libertà di azione, come si legge nella relazione al consiglio generale della Fondazione Fiera: «Un mix funzionale libero, con esclusione delle attività insalubri». I proprietari avranno anche il diritto di vendere le aree: diritti e obblighi saranno trasferiti con la proprietà all' acquirente. Il rogito del contratto dovrà essere sottoscritto dalle parti entro il 30 novembre 2007, ma il suo contenuto è subordinato alla concessione a Milano dell' Expo 2015. Questo il quadro. Per l' opposizione, un contratto capestro che vede il Comune rinunciare al governo dello sviluppo urbanistico per consegnarlo con pochi vincoli ai privati, cui viene concesso un cruciale cambio di destinazione d' uso. Al contrario, per l' amministrazione è un compromesso nel segno del realismo. Dice l' architetto Giancarlo Tancredi, che ha seguito l' operazione per il settore Urbanistica: «Non si potevano lasciare quelle aree a uso agricolo. Dopo la variante di Piano regolatore i privati dovranno destinarne a verde la metà. Un accordo bonario ci evita le lunghezze e le incertezze dell' esproprio e in ogni caso passerà dal consiglio comunale». Nel dare il loro beneplacito i consiglieri della Fondazione Fiera, poco più di un mese fa, si sono complimentati con il presidente Luigi Roth per la «significativa valorizzazione delle aree della Fondazione» e per il «lungimirante acquisto dell' area Fiorenza nel 2002».

La Repubblica
07-08-07, pagina 5, sezione MILANO


In via Gattamelata la portineria deve far posto a una rotonda, Masseroli: il progetto è già stato approvato e non si può fermare, In ballo c' è il tunnel che dovrà unire la zona a viale De Gasperi
Il Comune: l' ex Alfa va abbattuta

Ma la protesta ferma le ruspe al Portello: la memoria va tutelata

STEFANO ROSSI

L' escavatore cingolato con pinza oleodinamica sonnecchia sotto il sole. Anche per oggi non si demolisce, conferma il ruspista della Cantieri Moderni, a braccia conserte. L' ingegner Luciano Caldognetto, direttore dei lavori della Auredia, la ditta che per conto della proprietà (la Finiper, gigante della grande distribuzione di Marco Brunelli) deve consegnare la spianata libera da immobili e detriti, aspetta con santa pazienza. Il funzionario della Mm, che dopo aver ricevuto da Finiper l' area costruirà la rotonda di via Gattamelata quale coronamento del tunnel sotterraneo di viale De Gasperi, fa avanti e indietro da una palazzina semidiroccata gialla, con i finestroni larghi tre metri per due. è quanto resta dell' Alfa al Portello e dentro, da due giorni, è presidiata dal capogruppo di An in Provincia, Giovanni De Nicola, e da altri volonterosi cittadini. L' area è enorme, almeno 200.000 metri quadrati, teatro di una grande operazione urbanistica sotto la regia di Finiper e Pirelli. è stato buttato giù quasi tutto, fino a che De Nicola, improvvisamente, si è incatenato alla palazzina, già morsa a fondo dalla ruspa: «Per salvare un monumento alla memoria di Milano, agli operai e al lavoro». La portineria si vede nel film Rocco e i suoi fratelli, le due finestre d' angolo sono quelle dell' ufficio di Giuseppe Luraghi, presidente Alfa negli anni '50 e '60. Flavio Pirola, collezionista di 15 Alfa («ma ne ho avute fino a 35») porta la sua Giulia carrozzata Colli del 1968 e una proposta: «Spostiamo qui il museo Alfa di Arese». De Nicola incassa la solidarietà del capogruppo di An in consiglio comunale, Carlo Fidanza, del vicecapogruppo di Forza Italia in Provincia, Max Bruschi, dell' assessore alla Cultura Vittorio Sgarbi. Bruno Simini, assessore ai Lavori Pubblici, dichiara alle agenzie: «Il Comune è completamente estraneo alla cosa». Ma chi, allora, alle spalle del Comune vuole demolire la memoria storica dell' Alfa? Basterebbe chiederlo al ruspista e al direttore lavori. è sempre il Comune, che nel quadro dell' accordo di programma del Portello con i privati «ha ordinato» (parole del ruspista e del direttore lavori) tutta la sequenza che va dalla demolizione alla costruzione della rotonda. Non solo. Il Comune chiederà una penale se non saranno rispettati i tempi, indifferente al fatto che a impedirlo siano stati assessori del Comune medesimo o partiti della maggioranza. E infatti Carlo Masseroli, assessore all' Urbanistica, benché in vacanza è imbufalito: «La memoria Alfa è già stata salvaguardata con la ristrutturazione della facciata della ex mensa. Il progetto è stato approvato dal consiglio ed è di livello internazionale, impensabile fermarlo». De Nicola non si arrende e attraverso Sgarbi ha ricevuto perfino, dice, un ok dal sindaco Moratti. Mostra la planimetria. La super rotonda, progetto già contestato perché dovrebbe alleviare il traffico di viale Scarampo ma si dice che finirà per strozzarlo, passa a lato della portineria. La palazzina può essere salvata. è vero, Masseroli? «Va as-so-lu-ta-men-te buttata giù - è la concitata risposta - sul museo Alfa a Milano sono invece d' accordo, parliamone». La situazione resta in stand by, ma qualcuno ottimista c' è. Sulla grossa cassetta della posta verde dell' Alfa semidiroccata la Telecom ha appoggiato l' elenco telefonico nuovo.


La Repubblica
08-08-07, pagina 5, sezione MILANO
L' assessore Sgarbi: Masseroli è un integralista, Brion ha accettato di rinviare la demolizione a fine mese
Alfa Romeo, stop alle ruspe


Ma la proprietà: abbiamo l' ok di Regione e Comune, 'Tenere ferme le macchine ci causa grossi danni'

STEFANO ROSSI

Quel che resta della palazzina degli uffici direzionali dell' Alfa al Portello non sarà demolito, almeno nei prossimi giorni, per far posto alla rotonda su cui sboccherà il futuro tunnel di viale De Gasperi. è soddisfatto Giovanni De Nicola, capogruppo di An in Provincia, che da tre giorni occupa la struttura giorno e notte, intenzionato a salvare la memoria storica della cultura industriale milanese. è Vittorio Sgarbi a portare la notizia al manipolo di difensori, che comprende Franco Servello, presidente dell' assemblea nazionale di An, i collezionisti delle auto del Biscione, gli ex dipendenti come Piergiorgio Barelli, che fece parte del team di progettisti di un' Alfa speciale e blindata per Karol Wojtyla, che poi il Vaticano non acquistò. L' assessore alla Cultura è appassionatamente contro la distruzione dell' edificio di via Gattamelata. Entrato ieri alle 14 per un secondo sopralluogo (il primo nella notte di lunedì alla luce delle torce elettriche), l' assessore apprende che qui furono girate scene di Rocco e i suoi fratelli, e davanti ai cronisti telefona ad Alberto Artioli, sovrintendente ai Beni architettonici, per verificare la praticabilità di un vincolo cultural-ambientale. Il critico-assessore racconta di aver chiamato in mattinata a Cortina, dov' è in vacanza, Ennio Brion, della dinastia imprenditoriale veneta della Brionvega, amministratore delegato di Auredia, la società deputata all' esecuzione delle opere di urbanizzazione: «Brion ha accettato di rinviare la demolizione a fine agosto - dice Sgarbi - tanto l' ex sede Alfa rimasta non crea alcun disturbo alla rotonda. Masseroli (l' assessore all' Urbanistica) è un ciellino integralista, gli ho mandato un sms in cui gli auguro i fulmini dall' alto di Testori e Giussani. E ora anche di Luchino Visconti». Ennio Brion racconta una storia un po' diversa: «La mia disponibilità è tutta da valutare. A Sgarbi ho detto che farò delle verifiche tecniche ma non posso assumermi impegni. Ricordo a tutti che il Piano integrato di intervento è stato sottoposto alle eventuali osservazioni del pubblico ed è stato firmato da Comune e Regione. L' iter amministrativo, dopo anni, è concluso. Ora ci sono delle convenzioni precise e un progetto apprezzato a livello internazionale. A quanto mi dicono, Mm è soddisfatta delle demolizioni attuali per la costruzione della rotatoria ma l' area è stata ceduta a un' altra società, la Vittoria Immobiliare. Non è una cosa che si ferma così, ci sono implicazioni rilevanti sia in termini di lavori già definiti che di possibili danni. Noi adesso abbiamo le macchine ferme». L' abbattimento degli uffici Alfa è dunque rinviato, ma nessuno può dire di quanto. L' ipotesi di spostare qui il museo Alfa di Arese è suggestiva ma impraticabile, data l' insufficienza allo scopo di 370 metri quadrati per ciascuno dei due piani dell' edificio. De Nicola annuncia: «Il nostro compito è finito. Volevamo far capire all' opinione pubblica e al Comune l' importanza di questo simbolo della città». Masseroli accusa la protesta di «spirito provinciale» e vede il rischio di arrivare «all' Expo 2015 con i cantieri aperti» a causa di manifestazioni tardive («benché legittime») su vicende chiuse: «Il progetto è stato approvato in consiglio comunale il 12 dicembre del 2000». Fra i consiglieri c' era lo stesso De Nicola, eletto pure presidente della commissione Demanio.

La Repubblica
09-08-07, pagina 2, sezione MILANO
L' assessore all' Urbanistica: lo sviluppo edilizio porterà vantaggi a tutta la collettività,
Masseroli: 'Basta con gli intoppi Milano ha bisogno di crescere'


In questo modo si scoraggiano gli investitori stranieri in vista dell' Expo 2015, Marsiglia e Lione hanno abbattuto le case popolari degradate per rifarle altrove: un tema che andrà affrontato

STEFANO ROSSI

Carlo Masseroli è assessore all' Urbanistica e allo Sviluppo del territorio. E allo sviluppo della città crede fermamente, al punto che all' episodio della palazzina Alfa del Portello dà un grande valore simbolico: «Quando una pratica è chiusa e una decisione presa? Ragionando in chiave Expo 2015, verrà mai uno straniero a mettere i suoi soldi a Milano se diamo questa immagine di inaffidabilità?». Assessore, la proprietà della ex Alfa al Portello è già cambiata, ora è del Gruppo Vittoria. Era previsto dal Piano integrato di intervento? In questa vicenda gli uffici (e certi suoi colleghi) sono apparsi un po' confusi. «Controlleremo. In ogni caso, il Gruppo Vittoria è un operatore affidabile. Diritti e obblighi non cambiano». Cambia l' interlocutore e non è irrilevante. Secondo le clausole, potrebbe accadere anche su quel milione e 280.000 mq oggetto dell' accordo con Fondazione Fiera e Gruppo Cabassi fra il Polo esterno della Fiera e Milano, per la Expo 2015. «Lì abbiamo puntato forte. Per l' Expo serviva un' area con una certa estensione e servita dalla logistica. L' abbiamo individuata ma era di privati. L' accordo che offriamo porta vantaggi a tutti». Il vantaggio per i privati è chiaro. Concedono il diritto di superficie al Comune per il tempo dell' Expo e si vedono restituire terreni non più agricoli ma edificabili. è meno chiaro il vantaggio per il Comune e resta la sensazione di un grosso regalo. «Nel fare l' Expo c' è un interesse pubblico enorme. Parliamo di aree degradate, non possiamo fermare lo sviluppo della città. Dal 2008 il Piano di governo del territorio (Pgt) sostituirà il Piano regolatore, abolendo le destinazioni d' uso. La proprietà potrà vendere i diritti edificatori delle aree su cui decideremo di fare parchi o strade, costruendo altrove, mentre l' area in questione passerà al Comune». Intanto sul pezzo di città interessato all' Expo avete concesso un indice di edificabilità dello 0,60. Non è poco. «Invece sì. Barcellona ha indici da 1 a 1,2 metri quadrati di costruito per metro quadrato d' area. Dopo l' Expo lo alzeremo anche noi sulle aree di Fiera e di Cabassi, così i privati compreranno i diritti volumetrici mancanti da 0,60 a 1 e a compensazione altre aree diverranno di proprietà del Comune». Costruirete anche su una dozzina di scali ferroviari, quando la tendenza in Europa è di riqualificarli per un trasporto ecologico e ben articolato in città. «Non andiamo controtendenza e, oltretutto, la scelta di dismettere non è nostra ma di Fs. Arretriamo la ferrovia per fare parcheggi di interscambio, con nuovi metrò il cui orizzonte è il 2015. Sono tempi possibili». Dite che i progetti privati devono adattarsi alle infrastrutture pubbliche. Il tracciato della MM5 dimostra il contrario, con quel peduncolo che sale a nord verso CityLife e scende di nuovo. «L' interesse pubblico c' è, perché a CityLife la gente ci andrà, per vivere e lavorare. Anzi, proprio io ho preteso un progetto unico fino a San Siro. Gli accordi precedenti fra Mm e Gruppo Hines si fermavano a un tratto finanziato fino a Garibaldi». Cosa metterete nel Pgt? Ormai avete deciso tutto. E senza la partecipazione collettiva che a parole chiedete alla città. «La cittadella della giustizia l' ho spiegata a tutti, ho il consenso di magistrati e avvocati. La protesta al Portello non nasce certo da un percorso poco trasparente, il progetto era chiarissimo, discusso e approvato. Non è vero che sia tutto deciso, ad esempio gli scali ferroviari non sappiamo cosa diventeranno. Però non ci servono lamentazioni. Imprenditori e associazioni ci dicano cosa sono disposti a fare sugli scali e sul Parco Sud, che oggi non è un parco. Vogliamo renderlo fruibile. Con quali soldi? Nel parco il Comune ha delle aree, venderemo i diritti volumetrici per farli usare altrove. E aggiungo che Marsiglia e Lione hanno abbattuto le case popolari degradate per costruire altrove. Un tema che Milano deve affrontare».

La Repubblica
10-08-07, pagina 1, sezione MILANO
Il disordine creativo della giunta



CARLO ANNOVAZZI

La bellezza dell' estate è, anche, la leggerezza, di modi e di pensieri. Così, potrebbe scapparci una risata sulle ultime vicende dell' amministrazione comunale. Se non fosse che le ultime sono legate alle prime, se non fosse che il punto di approdo è quello di partenza. E questo, purtroppo, suscita la riflessione più che il sorriso. La palazzina Alfa Romeo al Portello è l' esempio del disordine creativo all' interno della giunta. C' è un' opera approvata in tutta la sua complessità dal Comune, c' è, alla vigilia di un intervento dei costruttori, una presa di posizione di un politico, De Nicola, e di qualche cittadino. E c' è, soprattutto, la rincorsa a smontare la tesi dell' assessore competente da parte dei colleghi. L' urbanistica è territorio di Carlo Masseroli. E lui ha le idee chiare. «I lavori devono andare avanti». Tutto chiaro, ma non ai suoi "amici" di giunta. Arriva Bruno Simini e dice che il Comune non ne sa nulla, il capolavoro lo fa Vittorio Sgarbi che riesce, con telefonate a destra e a sinistra, a fermare le ruspe. Simini è assessore alle Infrastrutture, Vittorio Sgarbi alla Cultura. Arrivano e disfano quello che spetta all' assessore titolare. è la legge del contrappasso morattiano. Sgarbi l' aveva già vissuta sulla propria pelle con la mostra Vade Retro. Lui, uomo di cultura, a proporla e promuoverla, gli altri a smontarla. Fino alla conclusione: la giunta boccia l' assessore e la mostra non si fa. Ieri, un' altra perla. Protagonisti Giovanni Terzi e Manfredi Palmeri, presidente del Consiglio comunale e giovane di Forza Italia. SEGUE A PAGINA IX Terzi critica chi critica Milano d' agosto. «La città si svuota ed è logico che i negozi chiudano» dice l' assessore che in questi giorni regge il Comune, ruolo che la Moratti ha tolto definitivamente a Riccardo De Corato per cederlo ai fedelissimi, come se il vice, per anni l' unico presente e sempre in prima linea, non fosse all' altezza di rappresentare il suo superiore, il sindaco. Terzi boccia i consumatori. Ma in soccorso ai consumatori e contro Terzi arrivano le dichiarazioni di Manfredi Palmeri. «Milano in estate deve fare di più, deve essere una città europea dodici mesi su dodici». Quindi, non deve andare in vacanza in agosto, come invece teorizzato da Terzi. Vogliamo ricordare gli smacchi subiti da Edoardo Croci? L' uomo del ticket ha dovuto ingoiare bocciature su bocciature per mesi, dai parcheggi (che in gran parte gli sono stati scippati) al biglietto di ingresso, e sempre dai suoi stessi compagni di avventura. Godiamoci l' estate, ché in estate tutto scorre con meno dolore. Ma alla ripresa della vera attività, il sindaco Moratti ha un dovere: richiamare i suoi assessori e imporre lo stop alle liti, agli sgambetti da tergo. Perché Milano ha bisogno di concretezza e di lavoro, non di dispetti da cortile.

La Repubblica
11-08-07, pagina 1, sezione MILANO
Il caso
Lacrime di coccodrillo sulla portineria Alfa



LUCA BELTRAMI GADOLA

Sono lacrime di coccodrillo quelle versate sulla demolizione della portineria dell' Alfa Romeo, lacrime che fanno pensare più ad un' occasione per regolamenti di conti all' interno della maggioranza che non a improvvisi ripensamenti culturali. Se mai cultura vi è stata o vi sarà in questa giunta, forse avrebbe dovuto manifestarsi prima, quando le ruspe della società Auredia, ignorante custode dei luoghi storici del lavoro milanese, demolì la parte degli edifici dell' Alfa Romeo che si affacciavano su piazzale Accursio all' angolo con Via Traiano: la sede della società costruita del 1957 e rimasta tale fino alla costruzione degli stabilimenti di Arese. Per gli alfisti era poi la filiale di Milano, voluta dall' allora presidente Giuseppe Luraghi. Il progetto di quegli edifici era di Antonio Cassi Ramelli, professore notissimo e contestatissimo della facoltà di Architettura che ebbe l' involontario merito di far scoppiare nel 1963 la prima occupazione universitaria a Milano: la sua candidatura a preside fu l' occasione per ribellarsi ad un ordinamento degli studi a dir poco conservatore. SEGUE A PAGINA IV L' edificio realizzato per l' Alfa non risentì della sua cultura eclettico conservatrice, anzi fu noto allora per esservi a piano strada, affacciato sulla piazza, un salone per esposizione di 900 metri quadrati coperto da una volta sottile a crociera che poggiava solo sui quattro spigoli. Un piccolo capolavoro statico che diede l' avvio ad altre sperimentazioni. Se lo si fosse conservato, come meritava, oggi avremmo il luogo storico giusto per il museo dell' Alfa Romeo. A Cassi Ramelli il Comune di Milano dedicò una mostra nel 2005 nel Palazzo della Ragione di Piazza Mercanti e l' edificio dell' Alfa era tra quelli scelti dal curatore per essere mostrati. Eppure nessuno se ne è ricordato, nemmeno la Lega, così attenta a rivendicare il localismo culturale e le gesta del popolo lombardo, forse troppo avviluppata dalle salsicce alla brace, pizzoccheri e dialetto, il suo brodo di "cultura". Aver cancellato quel simbolo, vuol dire non ricordare nulla della storia della Milano automobilistica, proprio quella del rilancio dell' Alfa: dai portoni di piazzale Accursio uscirono le prime Giuliette, la Giulietta spider sogno di tutti giovani e meno giovani: la prima vettura Alfa che andò sul mercato con un nome di donna, evocatrice di passioni. Corrisposte. Meglio dunque sarebbe stato conservare quella parte che non questa battaglia di retroguardia sulla portineria. L' urbanistica di una città si fa partendo dalla conoscenza del passato, scevra da nevrosi revisioniste e da ansie conservatrici e rispettosa dei luoghi e dei simboli. Nella vicenda di questi giorni si può leggere di tutto, dallo scollamento tra giunta e maggioranza consigliare allo scollamento tra membri stessi della giunta, dalla leggerezza con la quale i consiglieri di maggioranza approvano le delibere senza nemmeno conoscerle, alla scarsa capacità dell' opposizione in consiglio. In fondo a tutto, come sempre, sta poi la mancanza di partecipazione dei cittadini alle scelte sul loro destino.


Sezione: varie - Pagina: 039
(11 agosto, 2007) Corriere della Sera
ELZEVIRO Gli 80 anni del grande architetto

la Scelta di Gregotti Resistere al Caos
Per lui il progetto deve produrre un' ipotesi di ordine


il progettista deve innanzi tutto accogliere, senza che nessuna volontà di potere lo debba caratterizzare, senza nessuna presuntuosa enfasi della propria personalità, della propria espressività o della propria visione del mondo). Il progetto sembra essere dunque per Gregotti solo uno dei tanti momenti della sua vita, al pari della sua grande passione per viaggiare (o meglio per conoscere il mondo) come per la musica, il teatro e (perchè no?) anche per un certo tipo di mondanità colta e raffinata. Ed ecco che così parlare di Gregotti è come parlare di un testimone del nostro tempo. Che ha saputo progettare davvero a trecentosessanta gradi. Ecco così la dimensione urbanistica, una dimensione a volte contestata, ma non tanto nella qualità del progetto quanto piuttosto nella sua utilizzazione successiva: come nel caso del Quartiere Zen di Palermo (che Gregotti comunque non ha mai rinnegato, anzi difendendola ancora oggi dagli attacchi ed ipotizzando un possibile recupero-restauro). Come per la sede dell' Università della Calabria a Reggio o come per il quartiere della Bicocca a Milano (e dell' annesso Teatro degli Arcimboldi). Solo alcuni esempi che confermano come il modo di progettare di Gregotti si inserisca, da sempre, nell' ambito di una ben più ampia definizione di città e di spazio urbano. A cui si possono aggiungere il progetto per una nuova città da 150mila abitanti in Ucraina o lo Stadio Olimpico di Barcellona. Se è vero che il progetto è solo una piccola parte dell' essere architetto, Gregotti sceglie di confermarlo trasforrmandosi anche in una figura costantemente presente nel dibattito culturale che ruota (o meglio dovrebbe ruotare) attorno ad ogni singolo progetto. Fondamentali, a questo proposito, tra le numerose esperienze di Gregotti quella di direttore di Casabella o la sua direzione dgli oltre settanta numeri monografici di Rassegna, numeri che si sono rivelati fondamentali nella storia stessa dello studio del prodotto industriale e architettonico. E come non dimenticare l' illuminante articolo-saggio che apre il catalogo che accompagna la mostra su al Moma di New York nel 1972: una mostra e un saggio che letteralmente hanno rappresentato il debutto della storia del design italiano, una mostra che ha coinciso con l' affermazione internazionale di un certo Made in Italy. Storicamente (visto che pur sempre di un compleanno si tratta) Gregotti, nato a Novara nel 1927, comincia la propria avventura con la laurea in Architettura a Milano nel 1950, primo passo per una carriera che, appunto, lo vedrà immediatamente tra i collaboratori della storica rivista Casabella diretta da Ernesto Nathan Rogers che in seguito Gregotti dirigerà per 14 anni (a partire dal 1982). Nel 1974 (dopo l' esperienza degli Architetti Associati con Ludovico Meneghtti e Stoppino) verrà poi la creazione della Gregotti Associati (con numerosi progetti in tutto il mondo). Cercando i possibili riferimenti teorici della sua progettazione si può poi parlare di un' opera che si lega inizialmente a quei movimenti come il Neolibertry che furono di vera e propria reazione al movimento moderno ed a quella sua interpretazione italiana definita Razionalismo Italiano (di questo genere l' esempio più significativo è il Palazzo per uffici a Novara del 1960). Pur fedele alla componente del movimento moderno e pur essendo passato indenne attraverso l' esperienza (effimera) del postmodern, Gregotti è stato così capace (forse sempre in virtù della sua complessità) di essere appunto anche uno dei padri fondatori di quel Neoliberty (con Gabetti e Isola, con Portoghesi, con Gae Aulenti) che per primo ha messo realmente in discussione proprio i postulati dello stesso movimento moderno (ideale simbolo di questa contraddizione è la poltrona Cavour progettata con Meneghetti e Stoppino). Anche se della complessità di Gregotti piace soprattutto ricordare un ultimo aspetto, quello dell' insegnamento. Lui che (professore di composizione architettonica all' Università di Venezia) proprio in virtù di una molto giovanile ha sempre saputo conquistare i suoi studenti. A Venezia come a Milano, a Palermo come a Tokyo come a Princeton. Potremmo definirlo, l' elogio della complessità. Almeno in architettura. Perché per celebrare gli ottanta anni, appena compiuti da Vittorio Gregotti, più che il recentissimo teatro di Aix-en-Provence, la nuova sede del Corriere della Sera o la città attualmente in costruzione vicino a Shanghai, vale la pena forse di ricordare come la figura di Gregotti sia stata innanzitutto quella di un progettista complesso, una figura abbastanza atipica nel panorama italiano. Che, al di la dei suoi edifici o dei suoi oggetti, è sembrato arrivare ad ogni singola realizzazione più che altro attraverso la forza del proprio pensiero. E quindi non solo disegnando, ma anche assemblando di volta in volta una serie di elementi legati alla propria intelligenza e alla propria cultura (non è forse vero come dice Niemeyer che «l' architettura è soltanto una piccola parte del sapere dell' uomo»?). Compito dell' architettura è per Gregotti «quello di produrre un' ipotesi di ordine, non di ritrarre il caos che ci circonda». Per lui «il progetto è sostanzialmente strategia della resistenza, opera che richiede rigore e regole severe», mentre nei materiali «vanno identificate delle tracce, piccoli segni, capaci di governare la "generazione" del progetto» (che per principio «deve avere un modo di procedere lento e intenso, fatto di tracce discrete se non proprio segrete»). Per Gregotti le virtù del progetto sono in fondo chiare («semplicità, ordine, organicità, precisione») e in qualche modo molto democratiche (visto che «il progettista deve innanzi tutto accogliere, senza che nessuna volontà di potere lo debba caratterizzare, senza nessuna presuntuosa enfasi della propria personalità, della propria espressività o della propria visione del mondo»). Il progetto sembra essere dunque per Gregotti solo uno dei tanti momenti della sua vita, al pari della sua grande passione per viaggiare (o meglio per conoscere il mondo) come per la musica, il teatro e (perché no?) anche per un certo tipo di mondanità colta e raffinata. Ed ecco che così parlare di Gregotti è come parlare di un testimone del nostro tempo. Che ha saputo progettare davvero a trecentosessanta gradi. Ecco così la dimensione urbanistica, una dimensione a volte contestata, ma non tanto nella qualità del progetto quanto piuttosto nella sua utilizzazione successiva: come nel caso del Quartiere Zen di Palermo (che Gregotti comunque non ha mai rinnegato, anzi difendendolo ancora oggi dagli attacchi ed ipotizzando un possibile recupero-restauro). Come per la sede dell' Università della Calabria a Reggio o come per il quartiere della Bicocca a Milano (e dell' annesso Teatro degli Arcimboldi). Solo alcuni esempi che confermano come il modo di progettare di Gregotti si inserisca, da sempre, nell' ambito di una ben più ampia definizione di città e di spazio urbano. Se è vero che il progetto è solo una piccola parte dell' essere architetto, Gregotti sceglie di confermarlo trasformandosi anche in una figura costantemente presente nel dibattito culturale che ruota (o meglio dovrebbe ruotare) attorno ad ogni singolo progetto. Fondamentali, a questo proposito, tra le numerose esperienze di Gregotti quella di direttore di «Casabella» o la sua direzione degli oltre settanta numeri monografici di «Rassegna», numeri che si sono rivelati fondamentali nella storia stessa dello studio del prodotto industriale e architettonico. E come non dimenticare l' illuminante articolo-saggio che apre il catalogo che accompagna la mostra su «Italy New Domestic Landscape» al Moma di New York nel 1972: una mostra e un saggio che letteralmente hanno rappresentato il debutto della storia del design italiano, una mostra che ha coinciso con l' affermazione internazionale di un certo Made in Italy. Storicamente (visto che pur sempre di un compleanno si tratta) Gregotti, nato a Novara nel 1927, comincia la propria avventura con la laurea in Architettura a Milano nel 1950, primo passo per una carriera che, appunto, lo vedrà immediatamente tra i collaboratori della storica rivista «Casabella», diretta da Ernesto Nathan Rogers, che in seguito Gregotti dirigerà per 14 anni (a partire dal 1982). Nel 1974 (dopo l' esperienza degli Architetti Associati con Ludovico Meneghetti e Stoppino) verrà poi la creazione della Gregotti Associati. Pur fedele alla componente del movimento moderno e pur essendo passato indenne attraverso l' esperienza (effimera) del postmoderno, Gregotti è stato però capace (forse sempre in virtù della sua complessità) di essere appunto anche uno dei padri fondatori di quel Neoliberty (con Gabetti e Isola, con Portoghesi, con Gae Aulenti) che per primo ha messo realmente in discussione proprio i postulati dello stesso movimento moderno (ideale simbolo di questa contraddizione è la poltrona Cavour progettata con Meneghetti e Stoppino). Anche se di Gregotti piace soprattutto ricordare un ultimo aspetto, quello dell' insegnamento: lui che, professore di composizione architettonica, proprio in virtù di una complessità che lo fa assomigliare ad un giovane (e che forse è il suo segreto di una giovinezza che sembra davvero eterna) ha saputo conquistare, sempre e dovunque, i suoi studenti. A Venezia come a Milano, a Palermo come a Tokyo oppure a Princeton.

Bucci Stefano


La Repubblica
12-08-07, pagina 9, sezione MILANO
Un restauro unico al mondo, ora un libro lo racconta
Pirellone, ritorno al futuro


'Così il capolavoro di Gio Ponti ha ritrovato tutta la sua bellezza' Parla la curatrice, Maria Antonietta Crippa: 'è stato il primo recupero di un grattacielo moderno'

ANNA CIRILLO

Al restauro del grattacielo Pirelli, un cantiere eccezionale nel quadro dell' architettura contemporanea, è dedicato un bel libro appena pubblicato dalla Regione Lombardia con l' editore Skira. Ne parliamo con la curatrice, Maria Antonietta Crippa, docente di Storia dell' architettura al Politecnico. Come mai si è dedicata a questo argomento? «Facevo parte, con altri, della commissione tecnico scientifica per il restauro, voluta dal presidente Formigoni dopo l' incidente del 18 aprile 2002, quando un piccolo aereo da turismo si schiantò contro il grattacielo. Il nostro orientamento era di non alterare la struttura architettonica di Giò Ponti e restaurarla nel pieno rispetto del suo lavoro. All' interno del Pirellone molti non erano d' accordo, ma per fortuna Formigoni scelse la nostra impostazione». Perché il restauro conservativo era contestato? «Si temeva che l' operazione fosse troppo rischiosa. Nessuno ha mai restaurato l' alluminio prima di questo esperimento. Ugualmente per il mosaico che ricopre le facciate: all' aperto, a quelle altezze e per una enorme superficie. Restaurare, per noi, voleva dire conservare non solo l' immagine ma anche la materia con cui è stato costruito l' edificio. Voleva dire smontare tutti i serramenti e trovare il modo di restaurarli come si restaura un quadro, e per le piastrelle comportarsi come per un mosaico tradizionale». In che modo sono stati risolti questi problemi tecnici? «Tutti i pezzi di alluminio, fino alle viti, sono stati smontati e numerati. La tecnologia è cambiata molto rispetto agli anni '50-'60 in cui fu costruito il Pirellone, ma i serramenti che abbiamo trovato erano robusti. Smontati sembravano delle sculture, tanto erano ben fatti. Gio Ponti e le ditte dell' epoca sapevano quello che facevano. Si è soliti pensare che gli edifici di quegli anni, industriali e non più artigianali, siano stati costruiti per non durare tantissimo nel tempo. Invece, visti da vicino, si resta sorpresi. Si capisce che quello era il momento di passaggio dall' artigianato all' industria e quindi c' era ancora tutta la memoria dell' artigianato espressa su manufatti più consistenti». Un momento magico? «Sì, anche se il grattacielo Pirelli è stato ammirato più nel mondo che a Milano. Soprattutto in America, dove ha suscitato stupore questa struttura in cemento armato, e non in ferro come i grattacieli americani, che univa l' alta tecnica a una forma affusolata di straordinaria eleganza». Da questo nasce l' esigenza del libro? «Certo. è il primo restauro in assoluto al mondo su grande scala di un' architettura moderna. Tra l' altro, non avendo ancora il Pirellone, al momento dell' incidente, compiuto 50 anni di età, e non essendo perciò vincolato come bene culturale, il restauro non era affatto d' obbligo. è stata una scelta culturale. Una volta tanto Milano ha capito il valore di quello che possedeva e l' importanza di mantenerlo integro. Va aggiunto che in questo grattacielo non solo Ponti esercitò il suo talento ma anche due grandi ingegneri strutturisti milanesi: Arturo Danusso, che lavorò anche coi BBPR alla Torre Velasca, e Pierluigi Nervi». Un restauro che ha fatto scuola, dunque? «Sì, ha destato molto interesse. Per gli edifici antichi la procedura è ormai consolidata, si sa quali sono i comportamenti dei materiali. Per i materiali nuovi, invece, si tratta di provare». Che cosa avrebbero voluto fare, invece, i detrattori del restauro conservativo? «Mettere nuovi serramenti, e sostituire il mosaico esterno con un intonaco che mimasse la superficie ondulata delle tessere in ceramica inventate da Ponti. Noi invece abbiamo scelto di staccare una per una le piastrelline, numerarle, pulirle e riposizionarle dopo averle consolidate». Ora l' effetto qual è? «I milanesi possono rivedere l' alluminio che brilla. Abbiamo ritrovato quel riflesso argenteo che Ponti voleva». Nulla, quindi, è stato cambiato? «All' esterno no. Anzi, è stata rimessa alla base la grande vetrata, sparita col tempo. All' interno la mano è stata più libera, si erano già avuti nel passato rimaneggiamenti. Ma si è voluto, in molte parti, rimettere il linoleum "giallo fantastico" di Ponti, che era scomparso».


La Repubblica
17-08-07, pagina 1, sezione MILANO
Le idee
I numeri sono buoni ma manca un progetto



ARMANDO BESIO

Più di mille persone che affollano Palazzo Reale a Ferragosto è una buona cifra. Vittorio Sgarbi può andarne fiero. La scommessa della "Bella Estate dell' Arte" sembra vinta. Ma i numeri sono galeotti. Dicono e ingannano. I mille visitatori registrati a Palazzo Reale per sette mostre, ad esempio, sono meno della metà di quanti ne ha sedotti Brescia (2.189 la media giornaliera) con Turner e gli Impressionisti, prima in classifica quest' anno in Italia. Brescia non è Firenze, non è Venezia, non è Roma, città d' arte capaci di fare da traino a qualsiasi esposizione. Ma ha un progetto. Nazionalpopolare, secondo i critici più snob. Però vincente. Milano non ancora. (SEGUE A PAGINA V) Da quando è assessore, Sgarbi ha partorito mille idee, spesso intelligenti (sebbene altrettanto spesso abbandonate per strada o rimandate a tempi migliori), ma non una strategia. Specchio perfetto di questa sua effervescenza allegra e confusionaria, le mostre della "Bella Estate dell' Arte" hanno il pregio di essere numerose (l' anno scorso Palazzo Reale offriva appena due esposizioni di fotografia) e a buon prezzo (ottimo il carnet a 21 euro), ma il difetto di essere nate, quasi tutte, per caso. Concepite al penultimo minuto. E allestite in maniera frettolosa. Qualche esempio? Theimer è bravo, ma la penombra pur suggestiva delle sale, e l' assenza di didascalie, impediscono di capire le sue sculture, sofisticate e misteriose. Gio Ponti, in un paio stanze riempite un po' così, è maltrattato e inutile. Cavaglieri è un riciclo (da Rovigo). La polemica antologica, curata personalmente da Sgarbi, sulla pittura italiana "mai vista alla Biennale", già annunciata per il Salone del Mobile, allinea quadri anche belli, ma appesi un po' a casaccio, e senza alcun apparato critico che li leghi insieme e ne faccia comprendere il significato. Ferroni è un grande, ma qui promette più di quel che mantiene, scontando tra l' altro l' abbandono in zona Cesarini del curatore. Botero, lui funziona, perché è un piacione, ma come superstar della sua "Bella Estate" una città come Milano forse avrebbe meritato qualcosa di meno banale. Sgarbi, va detto, ha scontato nei mesi scorsi la drammatica defezione dei suoi due principali collaboratori: uno inquisito (Riva), l' altro prematuramente scomparso (Sciaccaluga). L' augurio è che riesca a dotarsi presto di nuovi bracci destri all' altezza, con i quali mettere a punto progetti di più ampio respiro, più sicuro prestigio e più robusto appeal internazionale. Due parole sugli altri risultati del Ferragosto dell' arte. Tutto sommato buoni i 273 visitatori per Renzo Piano alla Triennale: una mostra di architettura difficilmente ottiene di più. Eccellenti le affluenze ai tre musei: Scienza, Brera e Castello. Il museo della Scienza vede premiata ancora una volta l' intelligente strategia del suo direttore Galli: iniziative spettacolari (oggi il sommergibile Toti, domani la barca a vela Azzurra) e vivace programma di laboratori e animazioni per i bambini. Brera incassa un pubblico record, per i suoi modesti standard, e c' è da sperare che sappia fare tesoro di questa esperienza per risollevarsi. Il Castello assorbe la solita folla di turisti, molti stranieri, giapponesi in testa, che corrono ad ammirare la Pietà Rondanini. La scultura di Michelangelo, acquistata dal Comune nel 1952 per rilanciare un Castello appena riaperto e restaurato dopo i bombardamenti della guerra, svolge ancora in maniera eccellente la sua funzione di testimonial. E anche questa - saper pensare in grande, come allora i milanesi facevano - è una lezione da tenere a mente.

Sezione: trasporti autotrasporti - Pagina: 003
(31 agosto, 2007) Corriere della Sera
La previsione
Entro il 2013 al collasso le tangenziali

Senza lo sviluppo dei nuovi corridoi ferroviari Nord-Sud Europa, senza lo spostamento del traffico merci dalla strada alla ferrovia, le tangenziali saranno al collasso entro il 2013. La loro capacità limite è stimata in 9 mila veicoli all' ora, quanto basta a classificarle come il punto debole del trasporto in Lombardia, a causa del trasporto merci, che avviene al 70 per cento su strada. Il traffico merci che attraverso i valichi alpini transita nella rete stradale regionale è pari, oggi, a 130 milioni di tonnellate. Ma entro il 2030 salirà a 300 milioni di tonnellate. Una previsione a tinte fosche tracciata dal rapporto «L' impatto dei nuovi Corridoi ferroviari Nord-Sud Europa» della Camera di Commercio, il cui presidente Carlo Sangalli spiega: «Le infrastrutture sono l' ossatura di un territorio. Da qui bisogna partire e da qui costruire, per riuscire a competere nell' area del mercato globale». Nel 2006 sono transitati sulle tangenziali milanesi un miliardo e mezzo di veicoli, il 20 per cento dei quali merci. Ci sono barriere, come quelle di Sesto San Giovanni e Agrate che, con oltre 400 milioni di veicoli a testa, sono in vetta alla hit parade delle strade più congestionate. Cambiare rotta è possibile, insiste Sangalli. «Realizzando progetti di collegamento ferroviario Nord-Sud Europa, agevolando il trasporto merci da strada su rotaia». Forte l' impatto di una tale rivoluzione sull' ambiente: per le tangenziali di Milano vorrebbe dire nel 2030 avere 7 mila camion in meno al giorno e 140 milioni di veicoli all' anno.

D' Amico Paola

Sezione: canali - Pagina: 001
(1 settembre, 2007) Corriere della Sera
Il recupero dei Navigli


NON ASPETTIAMO L' ARRIVO DELL' EXPO

Forse bisognerà aspettare l' Expo per sapere che fine faranno i Navigli, una delle poche attrazioni di Milano, completamente trascurati e lasciati andare in rovina tra mille competenze e rivoli burocratici. Non è una bella figura quella che fa Milano nel gestire i suoi patrimoni; si discute se chiuderli al traffico per consentire una movida più tranquilla, quando in qualunque città europea zone come quelle dei navigli milanesi sarebbero state ampiamente valorizzate e vietate al traffico. Ma a Milano ogni volta che si deve chiudere al traffico una zona, una via, una piazza, qualcuno si fa paladino degli interessi dei commercianti che ne avrebbero svantaggi. Gli interessi economici contrapposti alla qualità del vivere e del divertimento: a Milano tale equazione fa più fatica che altrove ad essere parte integrante del dibattito programmatico sul futuro della città, come se il divertimento fosse un aspetto secondario, sempre e comunque da sacrificare di fronte alla produttività, alle vendite degli esercizi commerciali, a nuovi modelli di business in grado di generare reddito. A Milano si fa più fatica a mettere in discussione il modello fondato sulla crescita illimitata, si sostiene la tesi dello sviluppo sostenibile, ormai un evidente ossimoro, sostenuto dagli stessi soggetti che gettano benzina sul fuoco, gridando che questo è l' unico sistema per spegnerlo; in altre parole si cerca di risolvere i problemi della città con le stesse logiche che li hanno creati; un esempio è dato dalla tesi che il futuro sarà dematerializzato, tesi sconfessata dai numeri (in questo caso numeri poco noti), che indicano come in Europa, negli ultimi vent' anni, l' attività industriale sia diminuita in termini relativi, ma non in termini assoluti e che a fronte di una crescita del Pil del 74% gli input di materia siano cresciuti dell' 85%. Si continua a pensare che sia più facile distribuire fette di ricchezza se la torta complessiva continua a crescere, ma nessuno si chiede se la torta sia o meno avvelenata; in quel caso sarebbe opportuno ridurre le fette a disposizione. Milano è inserita in un immaginario collettivo centrato sull' economia e sul lavoro, ingredienti che hanno contribuito a realizzare una torta sempre più indigesta ai suoi cittadini; non è sufficiente pensare di addolcirla con zone pedonali o piccoli parchi pubblici, in gran parte dei casi deserti e non utilizzati dai cittadini. Van cambiati gli ingredienti della torta, il tempo libero e il divertimento non possono più essere additivi aggiunti ma fondamentali elementi per disintossicare la vita di questa città.

Bertolini Francesco



Sezione: catasto - Pagina: 003
(2 settembre, 2007) Corriere della Sera
ASSOEDILIZIA
Colombo Clerici: un errore Perequazione? E' vessazione


Allora è giusto: chi più ha, più paghi? «Ma che discorsi! Altro che perequazione, qui siamo di fronte a una vessazione». Il presidente di Assoedilizia, Achille Colombo Clerici, sa che il riclassamento degli immobili del centro è alle porte. «Sono in totale disaccordo. E agiremo di conseguenza», promette. Perché? «C' è un vizio di procedimento. Le microzone in cui è stato attuato il riclassamento sono state definite a tavolino. La legge chiede un' omogeneità urbanistica e nella presenza dei servizi. E questa non sempre c' è». Da qualche parte bisognava pur cominciare. O no? «Se deve essere fatto, allora il riclassamento avvenga su tutto il Comune. E poi c' è dell' altro». Dica. «Un' operazione del genere va fatta solo quando il catasto avrà registrato tutte le ristrutturazioni». Questo provvedimento sarà particolarmente oneroso per le grandi proprietà immobiliari... «Un' ingiustizia e un' ingiustizia, indipendentemente da chi la subisce». Morale? «Suggeriremo ai nostri associati di impugnare le notifiche».

Querze' Rita

Sezione: catasto - Pagina: 003
(2 settembre, 2007) Corriere della Sera
Cambia il valore delle case in centro, tasse più care
Forza Italia: la gente non ne può più di aumenti. Ma la modifica catastale fu voluta da Albertini


Stangata sulla casa in arrivo. Ma solo per chi abita nei quartieri di pregio della città. E' quanto si prepara a varare l' Agenzia del territorio su richiesta del Comune di Milano. Morale: centinaia di famiglie (ma anche di società, per non parlare degli studi dei professionisti del centro) si troveranno a versare di più al fisco. NOTIFICHE IMMINENTI - L' amministrazione Moratti non c' entra nulla: la richiesta di riclassamento degli immobili nelle zone di lusso era stata fatta nel 2005 dalla giunta guidata da Gabriele Albertini. Gliene dava facoltà la finanziaria dello stesso anno. L' Agenzia del territorio ha proceduto di conseguenza e ora il lavoro di riclassamento è agli sgoccioli. «Ci risulta che le notifiche siano imminenti», confermano in Assoedilizia, associazione che rappresenta i proprietari di immobili e che si dice nettamente contraria. Più disponibili, invece, i piccoli proprietari: «Tante unità immobiliari sono sottoclassificate. Un adeguamento, purché attuato con serietà e senza atteggiamenti punitivi, è auspicabile», valuta Massimo Nardi, segretario provinciale dell' Uppi di Milano (Unione piccoli proprietari). In base al classamento dell' alloggio (da A1 per le case di lusso ad A5 per le bicocche con il bagno sul ballatoio) si pagano tasse come Irpef (per le persone fisiche), Ires (per le persone giuridiche) o Ici. Il passaggio di un immobile a una categoria superiore di fatto obbligherà a versare di più al fisco. La misura ha l' obiettivo di creare una maggiore equità fiscale. «Persino nel Quadrilatero della moda capita di trovare immobili classati come A5», confermano all' Agenzia del territorio. In altre parole: in proporzione paga più tasse chi possiede cento metri in periferia rispetto a chi gli stessi cento metri ce li ha sotto la Madonnina. Un esempio: secondo calcoli recenti, a Milano una casa nella microzona di piazzale Lotto vale il 40 per cento in meno rispetto a una equivalente in corso Sempione. Nonostante ciò, l' imponibile fiscale di chi abita in zona Lotto è in media superiore del 22 per cento rispetto a quello dell' inquilino di corso Sempione. LE ZONE INTERESSATE - Le microzone interessate dal provvedimento sono quattro: A02, C04, A02, B04. Ma più che i codici dicono le vie coinvolte: i dintorni del Duomo, Brera, Sant' Ambrogio, via Torino, via Dante, Vincenzo Monti, piazza Sempione, via Pagano, via Mascheroni, piazza Scala, via Manzoni, via Senato, corso Venezia. LE REAZIONI - «L' intento perequativo può essere l' unica giustificazione di una misura che di fatto va ad aumentare il carico fiscale. La gente non ne può più di questa politica che infila le mani in tasca», riflette la coordinatrice regionale di Forza Italia, Maria Stella Gelmini. Ma l' attuale amministrazione comunale può bloccare quanto promosso da chi l' ha preceduta? Proprio ieri la giunta comunale ha recepito un decreto del governo del 14 giugno scorso che assegna ai Comuni maggiori competenze sul catasto. «Ciò non significa che a Palazzo Marino sia affidato il compito di rivedere gli estimi catastali», tiene a precisa l' assessore all' Urbanistica del Comune, Carlo Masseroli. Dal canto suo l' opposizione plaude all' iniziativa. «Finalmente si interviene per sanare un' ingiustizia. E' un vero paradosso che chi ha cento metri di nuova costruzione a Quarto Oggiaro si trovi a pagare più di chi ha un appartamento di pari ampiezza in via della Spiga», interviene Carmela Rozza, consigliere comunale dell' Unione. «L' amministrazione comunale utilizzi le maggiori entrate per fare uno sconto sull' Ici sulla prima casa - propone Rozza -. In questo modo dimostrerà la capacità di andare incontro alle famiglie economicamente meno avvantaggiate». rquerze@corriere.it 40% *** LA RIDUZIONE del valore di una casa in piazzale Lotto rispetto a una analoga di corso Sempione, ma l' imponibile fiscale è superiore del 22% *** 4 *** LE PRIME MICROZONE interessate dal provvedimento di riclassificazione, da Brera a via Dante, da Pagano a corso Venezia *** 15% *** LA PERCENTUALE di immobili del centro che ha dati catastali ancora obsoleti. Case di lusso, registrate però come semplici case di ringhiera

Querze' Rita

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