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Riflessioni del Consiglio dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Milano sul Piano casa

Dal 09.04.2009 al 09.04.2010

Il Consiglio dell’Ordine, in attesa dell’uscita ufficiale del decreto, riflette sull’ambiguità di un provvedimento che crea consenso individuale ma rischia di compromettere il territorio

Il Consiglio dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Milano – in attesa dell’uscita ufficiale del decreto - pone l’accento su alcuni punti che preoccupano per l’ambiguità di un provvedimento che crea consenso individuale ma rischia di essere a discapito del funzionamento delle città in generale, e in particolare:
 
- la minaccia sulla tutela dei centri storici
- il pericolo di legittimare e ampliare volumi abusivi
- l’aggravamento degli squilibri fra insediamenti e infrastrutture sia in termini di reti primarie, che di scuole e servizi
- la grande probabilità di un aumento dei contenziosi legali a livello civile
- il sovraccarico rovesciato sulle Soprintendenze che, senza aumento dell’organico attuale, non avranno le risorse per rispondere nei termini di legge alla domanda straordinaria cui si troveranno di fronte



Il “Piano casa” dovrebbe essere varato con le finalità (sono parole del Presidente del Consiglio) “di smuovere l'economia e in particolare l'edilizia da sempre ferma e impastoiata da mille burocratismi e dare a chi ha una casa e nel frattempo ha ampliato la famiglia, la possibilità di aggiungere una stanza, due stanze o dei bagni……” magari utilizzando allo scopo terrazze, balconi o verande. Dunque, la casa un po’ più grande per chi già la possiede.

Dovrebbe essere possibile aggiungere il 20% del volume alle residenze, il 20% della superficie per altre destinazioni, il 30% se demolisci e ricostruisci e il 35% se ti preoccupi anche del risparmio energetico. Si parla anche di semplificazione procedurale: i progettisti dovranno attestare, cosa che già oggi avviene, la conformità a leggi e regolamenti del loro progetto.

L’argomento che più preoccupa è l’ulteriore inevitabile compromissione del suolo.
L’incremento delle volumetrie dovrebbe stimolare il mercato delle imprese che si occupano di piccole opere. Temiamo però che la “libido” del metro cubo possa scatenare exploit allarmanti per l’assetto territoriale, senza invece giocare un ruolo positivo nei confronti dell’ housing sociale.

Il provvedimento annunciato, come ricorda il comunicato dell’8 marzo scorso redatto dalla Giunta esecutiva dell’INU, non sembra tenere minimamente conto dell’impatto urbanistico di tali ampliamenti: se generalizzati (come sembra che siano) aumenteranno congestione e invivibilità delle nostre città, aggiungendo  carichi insediativi difficilmente sostenibili.

Siamo favorevoli alla semplificazione delle procedure, purché accompagnata da uno snellimento delle disposizioni in vigore, in assenza della quale sarà inapplicabile.

Non siamo a conoscenza del fatto che sia stata fatta un’analisi dei costi/benefici che ha prodotto l’istituzione della DIA negli ultimi 15 anni. Quali sono state le ricadute sul territorio? Quali i provvedimenti per la salvaguardia dell’ambiente e per la lotta all’abusivismo?
Ci preoccupa il fatto che si stia valutando la possibilità di ottenere “l’autorizzazione postuma” per chi ha compiuto interventi edilizi in aree vincolate in assenza di autorizzazione. Una norma con effetto retroattivo? Un nuovo condono?

Ma qual è l’interesse pubblico che possiamo trovare in questo provvedimento?  Continuiamo a pensare alla questione della casa come appartenente a un'idea statica dell'economia per la quale l'acquisto deve essere un obiettivo di lunga durata del cittadino, consumatore, risparmiatore. In questo senso si promuove il modello della casa in proprietà.

Il quadro sociale contemporaneo è molto flessibile (mobilità, composizione variabile delle famiglie, precarietà del lavoro). Forse è necessario cominciare a pensare di ridurre (anziché ampliare) l’eccessiva parzializzazione della proprietà (condomini e villette), cosa che rende il nostro territorio sempre più compromesso e grandi aree delle nostre città sempre più immodificabili e trascurate dalle attuali politiche urbane. Pensiamo invece che la logica dei provvedimenti che riguardano il territorio e la città debbano sempre avere come fine primario quello collettivo.

Speriamo che questo Piano Casa ci lasci il tempo, quando ne vedremo le norme definitive, di fare proposte alternative e approfondimenti.

La professione dell’architetto ha una forte connotazione pubblica, perché il nostro operare e la sua qualità riguardano il vivere di tutti noi: anche se la casa è nostra è pur sempre, come amava dire Giovanni Muzio, un “pezzo di città”.
Vogliamo progettare e costruire il nostro mestiere, ma vorremmo poterlo fare responsabilmente, mantenendo viva la cultura della professione di cui siamo fieri: ha ricadute così evidenti sulla collettività e sull’ambiente, che tuttavia sembrano sempre più incomprese da chi ha responsabilità di governo.


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